Già alle sei del pomeriggio Eugenio Giani si affaccia sul retro di palazzo Strozzi Sacrati, sede dell’esecutivo regionale, da dove guiderà la Toscana per i prossimi cinque anni. Alla prova dei voti e non di alcuni sondaggi, che comunque sono serviti all’egemone Pd toscano per battere fino all’ultimo il tasto vincente del cosiddetto “voto utile”, il candidato dem e della renziana, assai deludente Italia Viva si afferma nettamente. Basta il 20% dei voti scrutinati per fotografare 7 punti di vantaggio sulla leghista Susanna Ceccardi. La prima proiezione di Tecnè, agenzia di rilevazione che ha sempre dato Giani avanti in sicurezza, registra Giani al 48,5% e Ceccardi al 39,8%. Anche fra le altre proiezioni, nessuna offre la benché minima chance alla pupilla di Matteo Salvini. Questo con un’affluenza, il 62,6%, superiore sia al 48,3% del 2015 quando si votava in solo giorno, che al 60,7% del 2010. Tutto lascia pensare che alla fine vada a finire come in Emilia Romagna, dove Stefano Bonaccini ha dato 8 punti alla leghista Borgonzoni. Alle nove di sera la proiezione finale Rai lo conferma: Giani 48,7% e Ceccardi 40,2%. Nel Pd, dove contavano un 44, massimo 45% (dai loro sondaggi), si fregano le mani.
All’ora dell’aperitivo un Giani raggiante si offre ai media nel quartier generale del Pd: “I toscani hanno votato per la Toscana, per la loro bellissima terra, e per i valori che le sono propri. Non ho mai avuto timori. Il vero sondaggio, che purtroppo molti commentatori nazionali hanno trascurato, è il ‘patto di San Gimignano’ che ho stretto con 186 sindaci su 273, assicurando loro, ma anche a tutti gli altri, che la Regione sarà vicina a ogni territorio, a ogni più piccolo borgo”.
Ora i ringraziamenti. Prima al Pd, che nell’autunno scorso, dopo una franca discussione interna in Toscana, lo aveva candidato ufficialmente all’unanimità, ottenendo un rapido via libera dal Nazareno: “Mi sono sentito supportato e aiutato dal mio partito e soprattutto dal suo segretario, Nicola Zingaretti, che mi è stato al fianco anche in questa campagna”. Poi l’amico Bonaccini, che ha contraccambiato a Giani la visita fatta a Bologna la sera delle elezioni emiliano romagnole. Infine alla coalizione: “ Alle sei liste che mi hanno sostenuto – chiude il neo presidente toscano – ai loro militanti che si sono dati da fare ovunque. Anche a loro va il mio sincero grazie”.
Sono parole, quelle di Giani, che sottintendono un “lavoro” politico già abbozzato per la composizione della prossima giunta. E che diventano ancor più importanti guardando ai, pur parziali, voti di lista. Infatti i numeri raccontano di un Pd macchina di consensi, in grado di arrivare al 35% complessivo con punte del 37,6% nella grande e popolosa provincia di Firenze e in quella di Prato. Poi 37,4% in quella di Siena, 35,7% in quella di Livorno, e 34,9% in quella di Pisa, lì dove la Lega si era illusa dopo la vittoria di Cascina nel 2016 e quella di Pisa nel 2018. “In Toscana il Pd va meglio dello scorso anno alle europee – chiosa la segretaria toscana Simona Bonafè – e allora con noi c’erano Leu e Iv”.
A fronte di questi gran risultati, fanno da contraltare le difficoltà delle liste collegate. In primis l’Italia Viva di Matteo Renzi, che mesi fa sognava la doppia cifra in Toscana, e invece si riduce ad un 4,5% che ridimensiona le sue chance di pesare parecchio in giunta. Quanto alle altre liste, sono sotto la soglia del 3% che garantisce la presenza in Consiglio regionale. E solo la “Sinistra civica ecologista”, che ha raccolto Mdp e parte di Sinistra italiana, cerca il fatidico 3%, ballando fino a notte sul filo dei voti.
Per Susanna Ceccardi, che aveva salutato il voto come di una “giornata storica”, la medaglietta del perdente e il biglietto già pronto per Bruxelles, dove tornerà a fare l’eurodeputata. “Ci ho creduto, i sondaggi ci davano molto più vicino”. Invece la trimurti a trazione leghista, che a metà scrutinio ha il 40,2%, (Lega al 22%, Fdi al 13,3% e Fi al 4,6%) dopo aver speso milioni, si deve consolare pensando che solo Altero Matteoli contro Claudio Martini superò il 40%. Negli anni del Berlusconi imperante.
In Consiglio regionale rientrerà, pur dimezzato, un M5s che ha preso il 7% lasciando sola in campagna elettorale la combattiva Irene Galletti: “Ha vinto la strategia della paura – commenta Galletti – polarizzando il voto su due compagini con programmi troppo simili”. Molto peggio è andata a Toscana a Sinistra, che nel voto di lista ha il 2,9% e che è stata cannibalizzata dal cosiddetto “voto utile”, almeno a vedere i sondaggi – del Pd – che a inizio settembre la davano sul 5-6%. Un colpo durissimo per la sinistra di alternativa, che pure con Tommaso Fattori aveva ben disegnato una Toscana attenta a una vera economia circolare, alla lotta alla precarietà, ad uno sviluppo in armonia con il territorio.