Ripercorrere la strada di un passato – i settanta – scintillante. Riappropriarsi di un’attitudine squisitamente rock non è semplice se ci si chiama Eugenio Finardi, che quegli anni – e quei sentieri – li ha battuti con intelligenza e profondità, per poi dedicarsi – special modo negli ultimi dieci anni – ad altri stili e mondi musicali. Con Fibrillante – appena uscito e distribuito per i tipi della Universal (ma il disco è stato prodotto e finanziato dallo stesso Finardi di concerto con Max Casacci, una factory quasi un crowd founding…) l’autore della Musica ribelle e di un cospicuo numero di titoli entrati fra i classici italiani del rock anni settanta, ci prova. Riuscendo nell’intento.

«Questo disco – spiega Finardi – nasce in realtà da un brano incluso nel precedente 60 (un triplo album in cui rileggeva e risuonava con la sua nuova band il suo vecchio repertorio, ndr). Era Nuovo umanesimo ed è il filo rosso che lega tutti questi pezzi». C’è tanto ritmo – orchestrato con metodo e cura da Max Casacci che è sì un mago dell’elettronica, ma per questa occasione si è calato nella realtà musicale (e umorale) di Finardi senza essere invasivo: «Max credo che avesse un gran rispetto per Finardi. Intendo ovviamente il mio stile negli anni 70, il periodo alla Cramps. E quindi la sua idea era di ritrovare quel tempo. Così insieme a Giovanni Maggiore (il chitarrista dell band, ndr) siamo andati alla radice di quel suono fino a che hanno convinto perfino me». Fibrillante nasce a Torino, città dove nonostante soffi pesante il vento della crisi è viva e presente la scena musicale e culturale. «È vero, Torino è diventata bella anche se vive una crisi economica notevolissima, ha un modo molto affine al mio pensare alle mie ide. Mentre Milano ha un’atmosfera completamente diversa, una città fondamentalmente di destra dominata dalla moda e con la pretesa di essere Manhattan».

I testi sono calati nella realtà dell’Italia in recessione, dove il racconto disperato di chi vive sulla pelle la povertà si specchia in altre solitudini e in altri drammi. Accade in La storia di Franco, la vicenda di un padre separato e ancor più in Cadere sognare, nata dopo un concerto a Carbonia squassata dalla recessione nel natale 2012, dove un uomo tra il pubblico grida a Finardi tutta la sua disperazione di disoccupato.

«Sono anni terribili, dove ci stanno strappando anche i diritti più elementari. Per chi è cresciuto nel ventennio dei diritti, è come se fossimo entrati in un nuovo medioevo. Un’epoca repellente nata con Reagan e la Thatcher e dove tutto è confuso. Perché fare una nuova legge elettorale, per dirci se siamo democristiani più di destra o di sinistra. Siamo impazziti? Sento che nessuno mi rappresenta. È assurdo, ma per uno come me che nei settanta è stato accusato di essere riformista perché portava la tessera del Pci, ora Sel è molto più a destra di come la penso io…». Ci sentiamo smarriti, fragili, senza sostegni: «Pensa che non ho mai voluto scrivere nulla sugli anni del berlusconismo; mi sono rifiutato perché non erano degni e non mi sembrava meritassero una canzone. Poi arriva Monti e immagini si tenti una strada verso la redistribuzione del reddito. Pia illusione, sono saltati anche i diritti minimi e sono state fatte scelte – come la legge Fornero – terribili. Da noi si arretra, mentre in America si ritorna a parlare di reddito minimo garantito, e anche i repubblicani devono ora combattere i reazionari dei tea party per poter garantirsi un futuro».

Qualcuno però potrebbe obiettare che l’attacco all’esistente avviene attraverso – musicalmente parlando – un ritorno al passato, quasi un arretramento, un arroccarsi su antiche posizioni. Cosa risponderesti a un’accusa del genere? «Intanto la collaborazione con Casacci e una band giovane rende il progetto, mio parere, molto contemporaneo. Il fatto è che se il suono non è cambiato così tanto è perché dagli ottanta in poi si è persa l’idea del futuro. E si prosegue citando la cosiddetta età d’oro del rock».

La figura femminile per Finardi – che negli ultimi anni si è misurato anche su territori diversi come il fado, il blues e il repertorio di un dissidente russo come Vladimir Vysotsky – è fondamentale ancora di salvezza (Laura degli specchi, Patrizia): «Io credo assolutamente nelle donne. Mentre l’uomo passato un certo periodo tende ad avvizzire, loro no, si illuminano proprio quando escono dalla prigionia della seduzione come arma e entrano nella vera femminilità. Si illuminano da dentro. Lo vedo in mia moglie Patrizia e lo vedevo anche in mia madre, morta a 94 anni, persino pochi giorni prima di spegnersi».