I C’è chi alza la mano per attribuirsi il merito assieme agli Usa, chi si dice soddisfatto e chi si mostra cauto e aspetta conferme. L’eliminazione del leader dell’Isis, Abu Bakr al Baghdadi, da parte dei Navy Seal statunitensi, come era prevedibile ha generato reazioni molto diverse tra gli attori locali e internazionali sulla scena mediorientale.

IL PIÙ LESTO A SALTARE sul carro del vincitore è stato Recep Tayyip Erdogan. Per il presidente turco, l’uccisione di al Baghdadi avrebbe segnato «una svolta nella nostra lotta comune (con gli Usa, ndr) contro il terrorismo». E ha prontamente paragonato l’Isis al Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) e al suo alleato in Siria, le Ypg, che pure sono state fondamentali nella lotta contro gli uomini di al Baghdadi. «Sono fiducioso che la lotta contro il terrorismo, in linea con lo spirito di alleanza, porterà la pace a tutta l’umanità», ha commentato Erdogan provando a giustificare la sua sanguinosa offensiva militare scatenata contro il popolo curdo nel nord della Siria.

Ma anche i curdi, presi di mira da Ankara, dicono di aver avuto un ruolo da protagonista nell’uccisione del leader dell’Isis. Le Fds curde affermano di aver contribuito a rintracciare Baghdadi nonostante la recente rottura con la Casa bianca: «Per cinque mesi c’è stata una cooperazione sul campo (con gli Usa, ndr) e un monitoraggio accurato, fino a quando non abbiamo organizzato un’operazione congiunta per uccidere Abu Bakr al Baghdadi».

ALTRETTANTO PROCLAMA il governo iracheno. «Le forze statunitensi, in coordinamento con il Servizio di intelligence nazionale iracheno, hanno effettuato un’operazione che ha portato all’eliminazione del terrorista al Baghdadi» ha comunicato il governo iracheno ribadendo che «lotterà ancora per sradicare il flagello del terrorismo attraverso una continua vigilanza». Esprime soddisfazione anche l’Arabia saudita, tra i principali produttori di radicalismo religioso e jihadismo. al Baghdadi, dice Riyadh, «ha sfigurato l’immagine dell’islam e dei musulmani nel mondo». I sauditi inoltre apprezzano «gli sforzi enormi dell’Amministrazione Usa».

SMORZANO GLI ENTUSIASMI la Russia e l’Iran. Mosca non è convinta che il capo dell’Isis sia stato effettivamente ucciso. Il ministero della Difesa russo ha fatto sapere di «non avere informazioni affidabili sull’operazione da parte dei militari statunitensi sull’ennesima eliminazione di Al Baghdadi». Dubbi legittimi perché più volte in passato il leader del Califfato è stato dato per morto in raid aerei della Coalizione a guida Usa. E comunque, sottolinea Konstantin Kosachyov, presidente della commissione per gli Affari esteri del parlamento russo, «contrastare il terrorismo è un compito molto più difficile della distruzione fisica dei suoi leader». Il portavoce del governo iraniano, Ali Rabiei, da parte sua ha colto l’occasione per ricordare che proprio le monarchie del Golfo hanno avuto un ruolo nella creazione e sviluppo dell’Isis. «L’uccisione di al Baghdadi non metterà fine a Daesh (Isis) e alla sua ideologia che è stata creata con l’aiuto dei petrodollari regionali», ha fatto notare Rabiei.

L’INTERESSE DEGLI SPECIALISTI ora si concentra su chi indosserà il mantello di al Baghdadi. Il candidato più probabile è Abdullah Qardash, che con il leader ucciso era stato in prigione a Bucca (Iraq) nel 2004. Ad agosto, l’agenzia di stampa jihadista Amaq ha riferito che al Baghdadi lo aveva incaricato di gestire gli affari interni dello Stato islamico. Qardash che si proclama un discendente diretto della famiglia di Maometto e della tribù dei Quraysh, probabilmente condividerà una porzione di potere con altri quadri dell’Isis: Sami al Jaburi, l’ideologo Amir al Mawla e l’esperto di esplosivi Muataz Numan.

Si parla di Isis ormai finito ma non è così. L’organizzazione è stata più decentralizzata negli ultimi due anni, con le sue varie parti che operano indipendenti dal comando principale. C’è inoltre da considerare che nonostante la perdita del territorio in Iraq e in Siria, le cellule affiliate all’Isis non sono diminuite ma si sono moltiplicate soprattutto nell’Africa centrale e occidentale, in Pakistan, India, Bangladesh e Khorasan (Afghanistan) oltre che nelle tradizionali aree operative in Medio Oriente. Una volta dichiarato nuovo califfo, Qardash proverà ad incoraggiare i militanti a non fare passi all’indietro.