Laconico, perentorio e visibilmente irritato il governatore di Bankitalia interviene sul caso Banca Etruria: «L’unica cosa che posso dire è che tutto quello che leggo sui giornali a proposito della Banca d’Italia o è falso o è privo di fondamento». Di più non specifica. Di certo allude alle critiche che sin dall’inizio della vicenda bersagliano la banca centrale accusandola di mancata vigilanza, ma anche alle voci su un intervento di Bankitalia per tentare di salvare Banca Etruria. Quelle voci erano in realtà partite soprattutto in difesa della sottosegretaria, per dimostrare che il tentativo di salvare Etruria c’era sì probabilmente stato, ma non era partito da lei.

Con lo stesso obiettivo il ministro Graziano Delrio esce allo scoperto e rivendica di essere effettivamente intervenuto chiamando l’allora presidente della Banca popolare dell’Emilia Romagna Ettore Caselli per verificare le possibilità di un acquisto della Banca vicina al fallimento. Delrio, che era all’epoca sottosegretario alla presidenza del consiglio, aveva il compito di «accompagnare i ministri competenti nella gestione di questa crisi». Ma tra i competenti, ovviamente, «la Boschi non c’era» e comunque il governo si mosse «senza ossessione particolari per Etruria». Delrio parla in un’intervista alla Stampa, per la verità decisa dopo che il quotidiano torinese lo aveva avvertito che avrebbe comunque pubblicato il suo nome, dopo aver rivelato il giorno prima che oltre a Boschi anche un altro ministro si era occupato del salvataggio di Etruria.

Alla fine, dopo giorni di silenzio, anche Matteo Renzi si è fatto sentire, con un’intervista tra le più amichevoli che si possano immaginare al direttore del Foglio Claudio Cerasa. Significativamente il segretario del Pd non spende una parola per difendere la sottosegretaria. Si preoccupa però del suo caso personale e accusa l’ex direttore del Corriere della Sera di «avere un’ossessione personale» contro di lui, forse perché «non ha avuto i voti per entrare nel cda Rai e lo capisco: essere bocciati da una commissione parlamentare non è piacevole». Non è la prima bassezza a cui si abbandona il segretario del Pd e De Bortoli ha avuto gioco sin troppo facile nel replicare che avendo rifiutato per due volte la presidenza della Rai non era «nelle mie ambizioni» fare il consigliere. E che, se anche la commissione lo avesse votato, non avrebbe potuto accettare «avendo firmato un patto di non concorrenza».

Intanto della querela annunciata dalla ex ministra continua a non esserci traccia, così come non c’è traccia di Federico Ghizzoni, l’ex ad di Unicredit che è il solo a poter dire una parola defintiva sulla verità della vicenda raccontata da De Bortoli. Quando la bomba è esplosa era in Svizzera, e da quel momento fa il possibile per non farsi trovare. Particolari, sia la querela fantasma che il Ghizzoni spettrale, che inevitabilmente suonano più come conferma che come smentita del racconto del giornalista.

La vicenda dunque è lontana dal concludersi. Il problema è che la forza politica che più rumorosamente di tutte ha levato il dito contro l’ex ministra delle Riforme, l’M5S, sembra giocare parti opposte in commedia. Ieri, dopo la “rivendicazione” di Delrio i capigruppo Fico e Martelli hanno dichiarato congiuntamente che «il conflitto di interessi del governo è sempre più chiaro». Pertanto «serve subito approvare la commissione d’inchiesta sulle banche». E’ sacrosanto. Però se allo stesso tempo avessero presentato la mozione di censura contro la sottosegretaria al Senato, invece che alla Camera dove sono certi che sarà bocciata, sarebbero decisamente più credibili