Una corretta lettura critica dell’opera letteraria e l’individuazione del suo valore all’interno della rappresentazione culturale che una società elabora di se stessa, non possono prescindere da un’analisi antropologica che indaghi l’opera stessa come indicatore e prodotto di una particolare visione della civiltà, della storia e della proiezione verso il futuro che in quella società si determinano. La strumentazione analitica, le procedure euristiche, l’interpretazione linguistica e la metodologia storiografica proprie dell’antropologia culturale, da un lato, e quelle della critica letteraria, dall’altro, richiedono una sempre più intrecciata contaminazione reciproca, in particolare, quando l’indagine dei significati di un’opera poetica o narrativa viene svolta in momenti di grande trasformazione dei modelli culturali e cognitivi che una forma di civiltà attraversa.

Oggi, la drammatica esperienza della pandemia rende evidente il carattere globale, e forse esiziale, della crisi evolutiva che il pianeta intero sta attraversando; per leggere la quale diviene necessaria l’adozione di nuovi paradigmi e di nuovi linguaggi con cui raccontare la possibilità di percorsi di civilizzazione diversi o rinnovati rispetto al passato. Nessun’altro prodotto della mente umana può assolvere a questa funzione antropologica di rieducazione del pensiero e di risemantizzazione dei linguaggi, quanto l’opera letteraria che, del resto, sempre ha svolto una tale funzione in ogni passaggio epocale di civiltà.

CONSAPEVOLE di questo attuale contesto epistemologico, nel quale vanno collocate la produzione, l’analisi e la fruizione del testo letterario, Luigi Cepparrone, docente di Letteratura italiana all’Università di Bergamo, nel suo In viaggio verso il moderno. Figure di migranti nella Letteratura Italiana tra Otto e Novecento (Edizioni Ets, pp. 188, euro 18) attualizza la lunga ricerca che lo ha portato a pensare l’analisi critica dei testi letterari in una polimorfa prospettiva interdisciplinare di indubbia efficacia euristica: proprio cercando nell’antropologia i metodi più appropriati per indagare i complessi rimandi fra un testo letterario e i contesti culturali della sua formazione e delle sue successive letture.

Del resto, nelle pagine d’introduzione egli afferma: «Nel momento in cui l’antropologia individua il suo oggetto di studio nelle società complesse occidentali, non può ignorare il punto di vista della letteratura, che finora ne è stato lo sguardo più affine. La letteratura è stata infatti il modo finora più tipico di rappresentazione della comunità nel suo insieme, insistendo sulla descrizione e sulla comprensione delle relazioni esistenti nelle società e sui loro cambiamenti». E ribadisce, infine, che la letteratura è stata fino a qualche decennio fa «l’unica antropologia delle società complesse e gli scrittori in molti casi sono riusciti a elaborare vere e proprie forme di etnografie».

Cepparrone indirizza la sua indagine al tema sia antroplogico che letterario dell’emigrazione, la quale, insieme a pandemia e guerra, costituisce il fenomeno più devastante e mortale, che viene acutizzato nelle fasi di transizione da un modello sociale all’altro. L’autore ne indaga la trattazione nelle vicende di personaggi fondamentali dei due grandi capolavori del nostro Ottocento letterario, I promessi sposi di Alessandro Manzoni e I malavoglia di Giovanni Verga, dove l’emigrazione è appunto presentata come fenomeno di passaggio dal mondo arcaico e rurale alla modernità della prima e della seconda rivoluzione industriale.

NELLA VISIONE progressista e liberale di Manzoni, la migrazione di Renzo Tramaglino è presentata non solo come fase di formazione culturale ed esistenziale del personaggio, ma anche come rito di trasformazione di ruolo lavorativo e funzione sociale di una figura tipica della vecchia realtà contadina che diventa espressione di un nuovo ceto operaio e imprenditoriale in una situazione storica di fiducia nel progresso, caratteristica sia del tempo di ambientazione (primo ‘600) che in quello di scrittura (primo ‘800) del romanzo manzoniano. Mentre, nella visione pessimista e conservatrice di Verga, la storia di migrazione di ’Ntoni Toscano diventa espressione dello sradicamento, del disorientamento, della degradazione e dell’esclusione patita dai ceti popolari e contadini, nel corso dello sviluppo diseguale e aggressivo della società industriale e capitalistica del secondo ‘800.

In entrambi i casi, tuttavia, l’analisi letteraria e quella antropologica di Cepparrone evidenziano le caratteristiche drammatiche sempre insite in ogni fenomeno di emigrazione e cioè lo spaesamento e la dispersione sociale, la miseria, la sofferenza e la degenerazione umana, la perdita d’identità culturale e di orizzonte esistenziale, e troppo spesso la violenza e la morte. Un quadro tragico, in cui ogni civiltà si rispecchia.