Un centro studi, un festival e prossimamente (a partire dal 2015) una scuola di cinema documentario etnografico: il tutto è nato dalle idee e dalla tenacia applicata per realizzarle di Fabio Gemo, antropologo visuale, che per oltre vent’anni ha lavorato nell’America Latina apprendendo ciò che fuori dall’Italia è conosciuto sotto il nome di «antropologia applicata». Giunto alla settima edizione l’EtnoFilmFest, in corso fino a domani in vari luoghi a Monselice, cittadina in provincia di Padova, può essere definito un piccolo grande successo.

Benché, «i tempi non siano dei migliori, i tagli alla cultura e la crisi economica impongono drastiche revisioni di bilancio» -, come confessa Fabio Gemo – «Essere lungimiranti oggi significa non soccombere a questo dato e contrastarlo con idee forti che possano costruire un futuro diverso». Un’ottica che piano piano sta dando i frutti, anche grazie a – più o meno – una serie di contributi di provincia e comune.

Nonostante le pressanti difficoltà di budget, nei quattro giorni di festival, inaugurato il 19 giugno con Alexian Group in concerto, il cui leader Alexian Santino Spinelli è un artista rom italiano di fama internazionale insegnante di Lingue e processi interculturali all’ Università di Chieti – presso la sala allestita al Castello si può assistere a quattordici documentari in concorso. Corti, medi e lunghi, per lo più firmati da registi italiani, sono lavori caratterizzati da una eterogeneità di stili e temi trattati. Storie che rivelano le contraddizioni di tipo culturale nei paesi emergenti a poi sociali al momento dell’arrivo nei paesi di destinazione degli immigrati. Contraddizioni, razzismo insieme alle difficoltà a inserirsi in nuovi spazi, emergono prepotenti dalle vicende raccontate sullo schermo.

L’edizione 2014 prevede inoltre varie conferenze sull’antropologia visuale per anticipare ciò che sarà approfondito sul piano teorico e pratico durante i corsi annuali della neonata EtnoFilmScuola, le cui iscrizioni al prossimo Anno Uno partiranno a novembre (fino a maggio 2015), mentre la frequenza delle lezioni frontali e non, impostate secondo moduli seminariali nei fine-settimana per facilitare persone che già lavorano, avranno inizio a ottobre 2015 per concludersi a giugno 2016. Le lezioni – per un totale di circa duecento ore – avranno luogo nella sede del Centro Studi sull’Etnodramma a Monselice, perfettamente attrezzata al riguardo, con antropologi e tecnici del cinema (fotografia, suono, montaggio, regia) per focalizzare il punto cruciale spesso confuso nei documentari: qual’è il film e qual’è la realtà filmata?

Ossia, come si impara a circoscrivere il dato reale da indagare per al contempo dilatarlo fino a far emergerne eventuali contenuti ideali? La formazione si svolge in aula e sul campo, allo scopo di far ben comprendere anche da noi le altrove ben note metodologie applicate alla ricerca. Ci saranno moduli per l’educazione allo sguardo, ossia la visione dell’immagine e della realtà, con tutti i contenuti pertinenti teorico-pratici per chiarire anche una terminologia spesso confusa, come ad esempio: sono sinonimi o no, le parole «etnologia», «etnografia» e «antropologia»? E per l’apprendimento di tecniche pratiche spazio al «lavoro in team», dove ascoltare «il mondo dei suoni, assemblare immagini e parlato» secondo concetti non convenzionali allo scopo di creare spazi di libertà dove fuoriuscire dai binari delle tecniche classiche, come aveva ribadito Luigi Di Gianni, uno dei padrini dell’iniziativa.

Segnaliamo a questo proposito l’incontro odierno con tre antropologi che si confrontano pubblicamente a Monselice per la prima volta dopo tanti anni: L’istruzione avvolgente e continua dei mass media con Gualtiero Harrison (libero docente confermato di antropologia culturale all’università della Calabria), Antonio Marazzi (antropologo visuale, rappresentante dell’Iuaes – International Union of Anthropological and Ethnological Sciences) e Paolo Palmeri, antropologo, all’Università La Sapienza di Roma. «Tutto il sociale della nostra realtà culturale, quella di noi autoctoni del Vecchio Occidente e degli Altri che si vanno a noi aggiungendo, sempre più pare destinato a degradarsi a comunicazione», era scritto nell’edizione 1997 di Né leggere né scrivere, a cura del trio, come a voler «profetizzare la nuova informazione degli anni a venire che dovrà riappropriarsi di tutte le modalità e le possibilità già sperimentate dagli uomini nelle loro ere pre-alfabetiche, alfabetiche e post-alfabetiche». Così è annunciato l’incontro sul programma del festival.

Nei prossimi mesi, all’apertura della scuola si affiancherà il progetto per la creazione di una mediateca: quasi mille titoli sono in attesa di un luogo che ne permetta la fruizione. Vi partecipa il Centro Studi e Ricerche Ligabue di Venezia, fondato nel 1971 da Antonio Ligabue, un mercante illuminato veneziano che investe da sempre gli utili ricavati dal catering internazionale per ricerche antropologiche. E, a «radicamento» avvenuto con la EtnofilmMediateca, non è lontano un interesse che vada oltre quello che per ora è regionale e nazionale.