A circa due mesi dall’omicidio del popolare cantante Hachalu Hundessa, voce della causa oromo, in Etiopia il principale oppositore politico del premier Abiy Ahmed, Jawar Mohammed, proprietario dell’Oromia Media Network, nonché leader del partito Oromo Federalist Congress, molto vicino all’ala estrema dell’Oromo Liberation Front (Olf) è accusato di terrorismo, frode e incitazione alla violenza. Jawar, che ha la cittadinanza statunitense, viene indicato come l’indiretto mandante della strage avvenuta nella notte seguente all’omicidio di Hundessa, il 29 giugno, quando alcuni gruppi di giovani di etnia oromo avrebbero aggredito la comunità di etnia amhara, dando alle fiamme alberghi e abitazioni e uccidendo circa 180 persone.

LA SCIA DI SANGUE disseminata dai gruppi del radicalismo oromo, mal tollerata dal governo, ha riportato in carcere per uno strano gioco della sorte molti di quelli che il premier, anche lui oromo, aveva liberato con l’amnistia concessa nel 2018. Tra le migliaia di prigionieri politici che ne beneficiarono c’era anche Jawar Mohammed. Fu uno dei primi provvedimenti adottati dal nuovo governo e contribuì non poco alla scelta di attribuire ad Ahmed il Nobel per la Pace.

Ma la speranza in una transizione democratica si è trasformata presto in una scintilla incendiaria, agli occhi degli oppositori di Ahmed, quando le elezioni sono state posticipate per ragioni di sicurezza legate al Covid-19. «Alcuni individui e gruppi che non accettano le trasformazioni in corso usano tutto ciò che è a loro disposizione per ostacolare il cambiamento, seminando divisioni e odio inter-etico e religioso», ha dichiarato il primo ministro all’Economist. Nell’intervista Ahmed ammette di essere al corrente degli abusi commessi delle forze di sicurezza, come denunciato anche da Amnesty International: «Considerata la situazione che il mio governo ha ereditato, ci siamo resi conto che l’accentuamento delle misure di sicurezza per evitare i conflitti etnici hanno comportato un rischio di violazione e abuso dei diritti umani».

UN ATTIVISTA DELLA COMUNITÀ etiope in Italia che chiede di restare anonimo racconta come «dopo che in agosto i seguaci di Jawar Mohammed si sono introdotti nell’ambasciata etiope a Londra, aggredendo un funzionario e cercando di sostituire la bandiera etiope con quella del loro partito, la comunità della diaspora è preoccupata dalle possibili rappresaglie a cui potrebbero essere soggetti tutti coloro che non aderiscono alle idee dell’Olf».

 

Il voto di un membro delle Forze speciali del Tigray (Ap)

 

E dopo un’estate di fuoco per la politica interna etiope, mentre l’epidemia di Covid dilaga, l’autunno ha portato un altro duro colpo allo slancio pacifista di Abiy Ahmed: la schiacciante vittoria del Tigray People’s Liberation Front (Tplf) nelle elezioni che si sono svolte a inizio settembre nella regione tigrina nonostante la contrarietà del governo centrale, Un voto che potrebbe fare da trampolino per un piano separatista condotto dallo stesso partito che prima del 2018 guidava tutto il Paese.

E MENTRE LA QUESTIONE legata ai diritti umani a volte inciampa e a volte sembra decollare, migliaia di persone sospettate di aver partecipato alle violenze dopo l’uccisione di Hachalu Hundessa restano in carcere spesso senza un capo d’imputazione preciso, in attesa di processo.

«Le autorità stanno cercando di identificare i responsabili delle stragi avvenute in molte città della regione Oromia. Ma il nostro ordinamento giudiziario è moderno – rassicura Belachew Anshisho, funzionario dell’ambasciata etiope a Roma -, Abiy Ahmed nonostante i conflitti interni ha portato molte riforme che hanno reso più limpida e democratica la giustizia in Etiopia».