Etiopia alla fame : le ragioni di una crisi complessa
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Etiopia alla fame : le ragioni di una crisi complessa

Africa Dove quei carichi di cereali erano più attesi. Si intrecciano più cause e più livelli di responsabilità, politici e speculativi

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 24 luglio 2022

Ben prima della guerra in Ucraina, la fame colpiva a fondo in Etiopia. «In un Paese dove la stampa è libera non c’è la carestia» affermava Amartya Sen. Il premio Nobel per l’economia in un meticoloso lavoro di ricerca ha dimostrato che un Paese con «un regime democratico e una stampa relativamente libera non ha mai sofferto una carestia». Quindi com’è possibile che la regione nord dell’Etiopia sia affetta da una gravissima crisi alimentare? Com’è possibile che delle 750 mila persone che il Programma Alimentare Mondiale (PAM) ritiene che siano prossime a rischiare la vita per fame (o in conseguenza di fame) ben 400 mila si trovino nella regione etiope del Tigray? E poi, al di là degli aiuti internazionali, un Paese di oltre 100 milioni di abitanti, com’è possibile che non sia in grado di soccorrerne 400 mila?

IL TIGRAY (ma anche alcune zone di Afar e Amhara) sembra essere l’epicentro di una cr secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (OCHA) «le aree del Tigray lungo il confine eritreo, alcune aree della zona orientale e occidentale rimangono difficili da raggiungere per i partner umanitari. Allo stesso modo, nella regione di Amhara, la situazione generale della sicurezza rimane instabile e imprevedibile, soprattutto nelle aree al confine con il Tigray. L’impatto della siccità è peggiorato e si stima che almeno 8,1 milioni di persone siano colpite dalla crisi idrica» che ha effetti a cascata sull’alimentazione, sulla salute, sulla sicurezza e anche sull’istruzione.

Nel Tigray, tra il 21 e il 28 giugno 652 camion che trasportavano rifornimenti umanitari (tra cui 2 cisterne di carburante per operazioni umanitarie) hanno raggiunto Mekelle, portando il totale a 3.642 camion dalla ripresa del movimento dei convogli stradali dallo scorso 1 aprile. Il problema è che gli aiuti passano dal solo corridoio stradale Semra-Macallè e secondo Adrian Van der Knaap direttore del Programma alimentare mondiale per l’Etiopia settentrionale bisognerebbe aprirne altri: «né etiopi né tigrini stanno fermando i camion in questo momento, ma l’aiuto è ancora insufficiente».

INFATTI, Abba Abraha Hagos della diocesi di Adigrat ha dichiarato che «attualmente i beni di prima necessità e i servizi di base non sono disponibili sul mercato o sono molto costosi e inaccessibili alla maggior parte della popolazione». A questo si aggiungono le restrizioni dei movimenti bancari che secondo il missionario spagnolo Ángel Olaran impediscono alle chiese e alle organizzazioni umanitarie di accedere ai fondi necessari per fornire gli aiuti. Il PAM evidenzia la necessità «di un movimento completo e illimitato dei rifornimenti attraverso le linee di controllo. Questo include l’apertura di altri due corridoi nel Tigray, il modo più efficace per massimizzare la consegna di aiuti nell’Etiopia settentrionale».

Come ha dichiarato Brian Lander vice direttore del PAM «non c’è assolutamente alcun motivo per cui le persone muoiano di fame oggi. C’è abbastanza cibo nel mondo per sfamare tutti, ed è per questo che è fondamentale agire ora per prevenire la fame». Nel Tigray nell’ultimo anno, secondo il PAM, «è arrivato solo il 10% degli aiuti richiesti, la recente tregua sta migliorando la condizione, ma la situazione resta imprevedibile».

UNA CRISI COMPLESSA che intreccia più cause e più livelli di responsabilità stanno agendo diversi fattori politici e speculativi che alimentano anziché ridurre il problema come spiegano gli operatori umanitari «i prezzi dei carburanti e del cibo hanno iniziato a salire prima della guerra in Ucraina». Già 20 anni fa il professor Girma Kebbede aveva chiarito che in Etiopia «la carestia storica del contadino etiope è spesso spiegata dal maltempo o da altri fenomeni naturali avversi.

Sebbene nessuno possa negare gli effetti negativi del maltempo, tuttavia, il tempo da solo non può essere considerato un fattore importante in nessun resoconto delle frequenti carestie dell’Etiopia. Dietro ogni calamità naturale avvenuta in Etiopia si nascondono fattori istituzionali o strutturali (sociali, economici e politici) che hanno esacerbato i fattori nnaturali. In altre parole, i fattori istituzionali sono un elemento primario della vulnerabilità della popolazione. Si devono esaminare il contesto socioeconomico e le condizioni politiche in cui si verificano i disastri per capire perché le persone sono vulnerabili». Ma come sempre la stampa libera può svegliare uno che dorme, non uno che fa finta di dormire.

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