Nato a Austin 48 anni fa, Ethan Hawke è emerso da attore-ragazzo della Generazione X in film come Giovani, carini e disoccupati di Ben Stiller e L’Attimo Fuggente di Peter Weir per poi costruire una filmografia indie e autoriale segnata dalla proficua collaborazione col compatriota texano Richard Linklater (Trilogia dell’alba, Waking Life, Fast Food Nation, Boyhood…) e ruoli in film di Sydney Lumet, Peter Weir, Andrew Niccol, Alfonso Cuarón e Antoine Fuqua. Lo scorso settembre era a Venezia con First Reformed di Paul Schrader.
Un portafoglio di cinema di genere e hollywoodiano, indie e b-movie: sessanta film, regie teatrali, due romanzi, sceneggiature, un documentario e due lungometraggi – e quest’anno anche la soddisfazione paterna dell’esordio televisivo della figlia Maya (avuta con Uma Thurman) nella miniserie Piccole Donne per la BBC. L’ultima regia, portata al Sundance, è Blaze, ambientato nel mondo della musica country sudista, secondo amore dell’attore/autore. Hawke è una vecchia conoscenza del festival (quest’anno recitava anche in Juliet/Naked di Jesse Peretz) che incontriamo a Park City dopo la prima del suo film.
Cosa pensa del Sundance?
Per un film come il nostro questo festival è essenziale. Riuscire a generare interesse qui significa un’opportunità di farlo conoscere. Eventi come il Sundance ma anche South By Southwest, i Festival di Berlino, Cannes, Toronto e Telluride sono gli essenziali curatori del cinema indipendente.
Come è stato presentare un film da regista?
È una sensazione potente, molto diverso da partecipare a un film come semplice attore. È come condividere il tuo sogno con una sala gremita di persone. Una sensazione meravigliosa e allo stesso tempo un gran senso di responsabilità .
Ricorda il suo primo Festival qui a Park City?
Il mio primo Sundance è stato con Giovani, carini e disoccupati nel 1994, e portavo anche un cortometraggio. In realtà c’ero già stato nel 1991, da semplice spettatore. Certo è molto cambiato, molta gente è nostalgica dei tempi in cui era più intimo, più simile a Telluride. Però credo che evolversi sia inevitabile e questo festival ha fatto davvero tanto per la nostra industria .
Cosa la spinge a dirigere?
Sono attore di professione e regista-scrittore per pura passione. Come diceva Seymour Bernstein, il soggetto del mio primo documentario, è il bisogno di proteggere il dilettante dentro di noi. Trovo importante trovare ancora cose da fare che non siano per soldi. Come alle olimpiadi: solo per scoprire se è possibile fare bene una cosa. Dirsi «lo faccio solo per il gusto di realizzare un’opera country western». E ritrovarsi al Sundance con un film indie country western è abbastanza straordinario. L’obbiettivo non è mirare al multisala del centro commerciale.
C’è un progetto unitario che accomuna i suoi lavori?
Tutto è iniziato con Seymour: An Introduction, il documentario che ho realizzato su un musicista di 88 anni. Da lì sono passato a interpretare Chet Baker, e una cosa che mi ha dato fastidio è stato sentire di non saper suonare la tromba sufficientemente bene da dare realmente vita a quel personaggio. Trovo che per rendere appieno il personaggio di un musicista sia necessario entrare nella sua musica: perché è li che risiede la sua parte migliore, la motivazione più essenziale. Così ho avuto l’idea di fare un film sulla musica country, che è il genere che preferisco. E ho pensato che la scelta migliore fosse utilizzare veri musicisti. Dato che recito da quando avevo 13 anni e che è la mia passione ero abbastanza certo di poter dare dei consigli, e di riuscire a creare un’atmosfera che li avrebbe messi in condizione di recitare.
Non ha mai pensato di interpretare lei il ruolo del protagonista ?
Non l’ho mai preso in considerazione. Se non avessi conosciuto Ben Dickey non avrei fatto il film. Era essenziale l’autenticità che lui porta al ruolo.
Qual è il suo rapporto con la musica?
È una cosa che amo da sempre. Anche il mio primo film, Chelsea Walls, in qualche modo trattava di musica, i suoi elementi migliori erano musicali. E uno dei progetti migliori su cui abbia mai lavorato è stata la colonna sonora di L’amore giovane con Wille Nelson e Norah Jones. Tutte le canzoni sono composizioni originali – ho passato più tempo a curare la colonna sonora che a fare il film. Credo in parte perché per me recitare è una dimensione «professionale». Da giovane era principalmente una fonte di gioia e di passione. Lo è ancora ma inevitabilmente è anche il mio mestiere, ciò con cui pago l’assicurazione medica, la scuola dei figli. Mentre la musica rimane un luogo di piacere assoluto, posso amarla incondizionatamente.
Chi sono i suoi idoli musicali?
Ce ne sono moltissimi. Il mio primo concerto da ragazzo è stato il 4th of July Picnic di Willie Nelson, nel 1976. Lo considero una sorta di voce narrante della mia vita, amo la sua musica. Mi piace un sacco di musica ma lui è il mio eroe.
Cosa prova a vedere sua figlia seguire i suoi passi?
Vederla in Piccole donne (miniserie creata da per la BBC, ndr) è stata una delle grandi emozioni della mia vita. Perché si tratta di vedere mia figlia che fa la stessa cosa a cui ho dedicato tutta la mia vita. E non è solo passabile, ma è chiaramente nata per farlo.
Maya inizia a lavorare in un momento complicato per Hollywood, la preoccupa?
Ci è cresciuta dentro, e forse in questo senso è più preparata di quanto potrebbero esserlo altri, attraverso l’esperienza di sua madre e la mia, e spero che saprà evitare gli aspetti più negativi. Credo anche che stia diventando donna in un momento straordinario. Per esempio Piccole donne è stato diretto da una donna, Vanessa Caswill. Personalmente ho fatto sessanta film e solo due avevano una regista donna. Invece anche il prossimo progetto di Maya sarà diretto da una regista … È un bel momento per essere una giovane donna di 19 anni, perché credo che possa imparare dagli errori della generazione precedente e a non subire il potere maschile. Si stanno aprendo delle porte che sono sempre state chiuse.
È un momento problematico per gli uomini bianchi?
C’è un prezzo da pagare. La verità è che Donald Trump ci sta facendo fare una gran brutta figura, e giustamente c’è molta rabbia per questo. Il fatto che abbiamo eletto il presidente più razzista subito dopo il primo presidente nero mi ha sorpreso, non l’avevo previsto. Molti miei amici ispanici o afroamericani invece non sono affatto sorpresi …Insomma è un momentaccio per essere un maschio bianco – sei vuoi essere un maiale. Invece credo sia un ottimo momento per essere una buona persona, aprire gli occhi e fare la cosa giusta.
La sua affinità naturale è con il cinema d’autore?
Cerco semplicemente di collaborare con persone di talento. E questo comprende lavorare con Denzel Washington e Antoine Fuqua ne I Magnifici Sette, perché no? Un western hollywoodiano è una bella sfida, come lo è recitare una scena intima con Sally Hawkins. Avevo sempre volute lavorare con lei, e vale lo stesso per Sydney Lumet e Philip Seymour Hoffman in Onora il padre e la madre. Se riesci a entrare in una stanza con persone talentuose accadranno cose buone.