Altri tre anni. Il governo italiano ha scelto, con il silenzio, di rinnovare la durata del Memorandum con la Libia. Il termine per stracciare l’accordo è scaduto ieri. E, dopo la scadenza, Roma ha fatto sapere a Tripoli che adesso intende chiedere alcune modifiche al testo dell’accordo. Modifiche che impiegheranno tempo: la richiesta iniziale è di convocare una commissione mista italo-libica per avviare i negoziati. Il portavoce del traballante presidente Serraj ha dato la disponibilità – «ogni accordo può essere modificato» mentre l’ammiraglio Ayoub Qassem, rappresentante della cosiddetta guardia costiera libica, ha chiarito che «il Memorandum conviene all’Italia quanto alla Libia».

Non si sa quanto denaro circoli tra l’Italia e le fazioni vicine a Serraj come contropartita dell’accordo, quello che è noto che che nei tre anni sono stati circa 150 i milioni destinati alla cosiddetta guardia costiera, che va a riprendere i migranti in fuga dagli orrori dei centri di detenzione e li riporta indietro. E se occorre, spara, li lascia affogare o minaccia le Ong che tentano il soccorso. Si sa però che le forniture militari sono in violazione dell’embargo delle armi deciso dall’Onu per la guerra in Libia. E soprattutto si sa adesso quello che nel febbraio 2017, quando Gentiloni per il tramite di Minniti strinse l’accordo con Serraj, si sapeva meno: i centri di detenzione in Libia sono dei lager per nulla accessibili alle organizzazioni umanitarie internazionali che dovrebbero ispezionarli.

Le modifiche che l’Italia intende proporre sono note da giorni: aprire i centri agli ispettori dell’Unhcr e dell’Oim e trasferire molti dei prigionieri attraverso nuovi corridoi umanitari con destinazione Europa. Ma la prima cosa è già formalmente prevista e si tratta di capire come potrà essere finalmente realizzata in maniera soddisfacente, la seconda non dipende né da Roma né da Tripoli. Così come non può dipendere solo dal nostro paese quel «grande piano di aiuti all’Africa» di cui si sente parlare da tempo e che dovrebbe frenare all’origine le migrazioni: in concreto è assai probabile che si tratterà di altri soldi italiani per finanziare i respingimenti in mare operati brutalmente delle milizie libiche. Ieri la commissione esteri della camera ha annunciato che avvierà un ciclo di audizioni per arrivare a una serie di proposte di modifica del Memorandum che sottoporrà al governo, è la conferma che l’attuale testo è destinato a restare in vigore ancora per un tempo non breve. Il Memorandum, peraltro, non è stato mai portato alla conoscenza né tanto meno al voto del parlamento. E le proposte italiane di modifica non sono state ancora formalmente avanzate ai libici in attesa della riunione della «commissione».

La capogruppo del Pd in commissione esteri Lia Quartapelle spiega che «stracciare il Memorandum vuol dire lavarsi la coscienza ma lasciare la situazione così com’è e restare a guardare da lontano le atrocità commesse in Libia, per fare un piano di evacuazione straordinaria e chiudere i campi serve il Memorandum». Di parere opposto due eurodeputati eletti dal Pd, il medico di Lampedusa Pietro Bartolo, secondo il quale «il nostro governo dovrebbe capire che i “rappresentanti istituzionali” libici, con cui dovrebbe sedere allo stesso tavolo per modificare il Memorandum, sono dei criminali. Quegli accordi vanno stracciati, è inconcepibile che si parli ancora di rinnovi e modifiche». E Massimiliano Smeriglio aggiunge che «invece di rimettere in mano alla guardia costiera dei poveri disperati, dovremmo promuovere una nuova missione internazionale di salvataggio in mare. Non siamo stati in grado di produrre la differenza, il rinnovo degli accordi con la Libia è una battuta d’arresto che ferisce è rende meno credibile il nostro operato».

Del resto al confronto con Di Maio, che dalla postazione degli Esteri punta a incarnare il ruolo del «duro» anti migranti che già fu di Salvini, con l’occhio al dividendo elettorale, il Pd non ha potuto presentarsi unito. Non a caso la continuità del Memorandum è innanzitutto con il governo Gentiloni e la gestione Minniti dei rapporti con la Libia. Per rimediare a questo punto Zingaretti rilancia sui decreti sicurezza, accettati in fase di scrittura del programma di governo – è previsto solo che dovranno essere rivisti alla luce delle osservazioni critiche del Quirinale – ma finiti nel mirino adesso. Almeno in fase di annuncio. «Nei prossimi giorni chiederemo il ritiro o la modifica dei decreti di Salvini – è la linea del segretario – perché hanno determinato solo un aumento del numero di irregolari e creato un clima di odio insopportabile».