Il colpo è stato duro. Il gancio destro sferrato dalla Cassazione ha fatto male. Ma non è un ko. Casale Monferrato è rimasta sul tappeto solo poche ore. Al risveglio è tornata in piazza a gridare «giustizia». Non quella della sentenza della Corte Suprema, che, con i suoi cavilli «in punta di diritto», ha annullato la condanna nei confronti del magnate dell’amianto Stephan Schmidheiny. Lasciando una tragedia infinita, con le sue 3 mila vittime (un conto solo provvisorio), senza responsabili. Tutto prescritto.

La città dove un tempo la polvere volava dappertutto e dove ogni settimana l’amianto fa una vittima, ieri, con il sindaco Titti Palazzetti, ha proclamato il lutto cittadino, mentre la statua equestre listata a nero di piazza Mazzini si riempiva di fiori bianchi. Processo e condanna annullata, altrettanto i risarcimenti. Casale, che da oltre 30 anni fa scuola tra i movimenti che si battono contro le morti sul lavoro e i disastri ambientali, non si ferma. L’esempio è Romana Blasotti, 85 anni, presidente dell’Afeva: «La mia lotta è cominciata nel 1982 (quando morì il marito, ndr) e non ho mai smesso», assicurando di voler andare avanti per «salvare le nuove generazioni». Già oggi, in municipio, a Casale, che si propone come guida di un «movimento di giustizia» di livello mondiale, ci sarà un incontro con rappresentanti di dieci Paesi stranieri, dal Brasile al Giappone, dagli Stati uniti alla Francia, dalla Svizzera ad altri. Perché l’amianto continua a mietere vittime; il picco in Piemonte è atteso tra il 2020 e il 2025. Ma il vero allarme presto sarà nei tanti Paesi del cosiddetto Sud del mondo, dove sono stati delocalizzati gli interessi del Nord.

Business is business. E vale più della vita umana. «Motivi abietti» (la volontà di profitto) è, infatti, l’aggravante dell’omicidio volontario continuato, secondo cui procedono, nei confronti di Schmidheiny, i pm Raffaele Guariniello e Gianfranco Colace. L’altra è «mezzo insidioso», l’amianto appunto. L’inchiesta Eternit-bis è chiusa, sono 256 i casi di morte contestati dalla procura di Torino. Le vittime sono decedute a causa del mesotelioma pleurico, dal 1989 a oggi: 66 ex lavoratori, gli altri sono cittadini che mai avevano messo piede in quelle fabbriche. La Prima sezione penale della Suprema Corte, guidata dal giudice Renato Cortesi, mercoledì ha salvato l’imprenditore svizzero, ma i guai giudiziari per lui non sono finiti. Da oggi si ritrova di nuovo alle calcagna quello che in privato ha definito «il nemico numero uno», Guariniello. L’impianto accusatorio del magistrato torinese è sopravvissuto fino al verdetto d’appello, che sentenziò come «la consumazione del reato di disastro» fosse «tuttora in atto» e quindi occorresse «mettere in risalto che i reati in nessun modo si potessero affermare prescritti». La Cassazione, che a una lettura innovativa ha preferito i bizantinismi del diritto, ha precisato: «Oggetto del giudizio era esclusivamente l’esistenza o meno del disastro ambientale». Non dei morti. «Che con questa decisione sono deceduti due volte» dicono i familiari. Ecco perché Bruno Pesce, coordinatore della vertenza amianto, chiede allo Stato di non abbandonarli.

Ieri, è intervenuto il premier Matteo Renzi, in perfetto tempismo mediatico ma in grosso ritardo rispetto alle istanze di giustizia. «O una vicenda come Eternit non è un reato oppure se è un reato ma prescritto, vuol dire – ha sottolineato il presidente del consiglio – che bisogna cambiare le regole del gioco sulla prescrizione» perché «non ci deve essere l’incubo della prescrizione».

Nel commentismo bulico all’italiana, ieri, si sono accumulate migliaia di dichiarazioni di politici indignati. Solo poche ore prima della sentenza, sulla vicenda Eternit, regnava il silenzio politico e mediatico. Ma i timori a Casale come a Bagnoli, Rubiera e Cavagnolo erano alti da giorni. Mercoledì tra i labirintici e ampollosi corridoi del Palazzaccio (sede della Corte Suprema), quando la speranza non era ancora sepolta, tirava da subito brutta aria. «Ci hanno detto di andare via, che non c’erano novità. Poi, invece, hanno letto la sentenza», ricorda Nicola Pondrano, ex operaio Eternit e attuale presidente del Fondo vittime amianto. L’amarezza è tanta. Le parole di Paolo Liedholm, nipote di Nils, la sintetizzano. Vive a Casale, ha perso la madre nel 2008 a causa del mesotelioma: «Se si vuole uccidere qualcuno in Italia, il miglior mezzo è l’amianto perché è legale».