Stephan Schmidheiney, il magnate svizzero già proprietario della Eternit, è stato condannato ieri mattina dal Tribunale di Torino a quattro anni carcere per omicidio colposo: il pubblico ministero, Gianfranco Colace, aveva chiesto sette anni di reclusione.
Le vittime causate dall’amianto, nell’alessandrino e non solo, sono state oltre duemila, ma la condanna di ieri riguarda due decessi avvenuti a Cavagnolo, piccolo paese poco distante da Torino, dove i morti sono stati centosedici, pari al 5,6% della popolazione.
La condanna «è un primo tassello», ha commentato il pubblico ministero Gianfranco Colace. «Ora – ha incalzato – spero che questa sentenza segni il ritorno a una giurisprudenza più attenta alle vittime».
Stephan Schmidheiny fu imputato a Torino per la morte di 258 persone, ma l’accusa nel 2016 venne trasformata da omicidio volontario a omicidio colposo. Il gup dichiarò prescritti un centinaio di casi, e il processo fu suddiviso in più sedi: Reggio Emilia, Vercelli, Napoli e Torino.
Il pubblico ministero Gianfranco Colace, che manifestò «amarezza» quando le sue tesi furono «depotenziate», ieri ha ottenuto un primo successo portando un risultato ai famigliari delle vittime. Chiarificatore del sentimento diffuso tra le migliaia di parenti che piangono uno o più morti da amianto è il commento di Bruno Pesce, volto storico di un mondo che chiede giustizia: «Una condanna mite, ma importante perché lo Stato afferma che non si uccide la gente per soldi».
Una nota dei collaboratori dell’imprenditore svizzero condannato afferma che Stephan Schmidheiny è «il capro espiatorio dell’inerzia dello Stato italiano», mentre la difesa, per voce dell’avvocato Astolfo Amato ha annunciato che farà ricorso: «È una decisione che va contro ultimi orientamenti giurisprudenziali in materia di morti da amianto. Leggeremo le motivazioni e faremo appello».