«Prima di partire per Torino mi tremavano le gambe. In genere la rabbia che ho in corpo mi fa nascondere la paura. Stamane, invece, la sentivo tutta. Paura di un esisto negativo e che la nostra speranza di giustizia andasse in fumo. Ora sono più sollevata, certo, non posso dirmi soddisfatta perché il dolore è sempre grande, ma due anni in più, diciotto, per Schmidheiny sono una condanna importante. Non porto rancore, vorrei solo che chi i responsabili di questa tragedia si accorgessero dell’immane sofferenza provocata». Romana Blasotti, presidente dell’Afeva (l’Associazione familiari e vittime dell’amianto) e cinque familiari morti, ha ascoltato la sentenza d’appello del processo Eternit in silenzio, immobile, nonostante l’assedio di flash e telecamere.

La corte d’Appello di Torino, presieduta da Alberto Oggé, ieri, ha condannato il magnate svizzero Stephan Schmidheiny a 18 anni di carcere per disastro ambientale doloso. Due anni in più rispetto al primo grado. Colpevole non solo per morti e disastri riferiti agli stabilimenti di Casale Monferrato e Cavagnolo, ma anche di Bagnoli (Napoli) e Rubiera (Reggio Emilia), esclusi in primo grado. Tremila tra morti e ammalati fino al 2008. Una sentenza storica, unica al mondo per entità delle pene e imputati (la testa della multinazionale): «Ci dice che non è mai azzardato sognare, questa sentenza è un inno alla vita. Siamo andati al di là di ogni aspettativa. La posta in palio è la tutela dell’uomo e della sua salute. Apre grandi prospettive anche per le vicende di Taranto e per tutte le città del mondo che attendono giustizia», ha detto il pm Raffaele Guariniello, che ha ricevuto in dono da un ex operaio Eternit, Pietro Condello, la sua tuta da lavoro.

[do action=”citazione”]Colpevole per le morti di Casale Monferrato e Cavagnolo, deve rispondere anche per Bagnoli e Rubiera. Il pm Guariniello, che ha coordinato l’accusa: «La sentenza può aprire prospettive anche per l’Ilva di Taranto»[/do]

I legali dell’imprenditore svizzero si sono detti indignati. Il coimputato, il barone belga Louis De Cartier, morto il 21 maggio all’età di 92 anni, è, invece, uscito dal processo. Le 2.500 parti civili riferite alla sua gestione rimangono a bocca asciutta, costrette a cominciare una nuova odissea giudiziaria in sede civile per sperare di ottenere un risarcimento nei confronti degli eredi del barone. È, infatti, una sentenza che soddisfa sul piano penale, meno sul fronte civile: ridotta la platea dei destinatari dei risarcimenti.
I giudici non hanno inoltre riconosciuto a Schmidheiny l’omissione dolosa di cautele, ritenuta prescritta e per questo motivo l’Inail, che in primo grado aveva assegnata una provvisionale di 15 milioni di euro, e l’Inps non hanno ottenuto alcun risarcimento. Nicola Pondrano, presidente Fondo vittime amianto ed ex operaio Eternit, parla di luci e ombre: «Solo attraverso risarcimenti significativi può essere fermato il business dell’amianto nei paesi emergenti dove nessuno dice nulla». Rispetto al primo grado si allarga il perimetro territoriale del reato, da Casale a Bagnoli ma si restringe il periodo delle contestazioni a Schmidheiny, dal giugno 1976 (non più da inizio ’73) fino al 1986. Soddisfatto della sentenza «esemplare» Bruno Pesce, coordinatore Vertenza amianto: «Deve far riflettere sulla qualità dello sviluppo industriale in Italia e nel mondo. Bisogna smettere di fare profitti sulla pelle dei cittadini. Sui risarcimenti non lasceremo nulla di intentato, ma lo Stato non ci lasci soli».

Sono venuti in tanti, familiari e attivisti, da ogni luogo devastato dall’Eternit in Italia, ma anche dalla Francia, dal Belgio, dalla Spagna e dalla Svizzera. Al mattino, si è svolto un presidio (presente la Cub). Luca Cavallero dell’associazione Voci della Memoria ha ricordato: «La nostra lotta continua perché la strage è in corso. Pochi giorni fa è scomparsa Paola Chiabrera, una giovane donna di Casale, che aveva scoperto di essere malata di mesotelioma nel giorno della sentenza di primo grado».

Risarcimenti maggiori per il comune di Casale Monferrato, che ottiene 30,9 milioni, 5 milioni in più: «Ora bisogna che Schmidheiny si sbrighi a darci i soldi – ha precisato il sindaco Giorgio Demezzi – perché dobbiamo completare le bonifiche». Risarcimenti anche per il comune di Rubiera, ma niente per Cavagnolo (che aveva accettato la transazione dello svizzero) e Bagnoli (Napoli non si è costituito parte civile). Venti milioni per la Regione Piemonte, centomila per le sigle sindacali, 70 mila per Legambiente e Wwf. A 932 famiglie di vittime andranno 30mila euro ciascuna: «Sia per i vivi non malati, sia per i malati, sia per le famiglie dei morti. Vengono considerate tutte uguali e riconosciuto solo il danno da esposizione» ha spiegato Sergio Bonetto, legale di parte civile.

Presente in aula Antonio Boccuzzi, ex operaio Thyssen e ora parlamentare Pd: «Bene il recupero di Rubiera e Bagnoli. Grave l’esclusione dell’Inail»». Tra i banchi anche Fabio Lavagno, casalese e deputato di Sel: «Sentenza storica, ora il governo coordini il recupero dei risarcimenti». Per Eleonora Artesio (Fds) è una sentenza che dà fiducia. Ora, insieme alla Cassazione si attende la conclusione delle indagini Eternit bis e ter sui nuovi morti. La Procura pensa di contestare l’omicidio volontario.