Hanno atteso un anno per avere giustizia i familiari e gli ex lavoratori della Eternit di Bagnoli. La sentenza di primo grado, infatti, aveva considerato prescritti i danni alla salute prodotti dallo stabilimento di Rubiera (in provincia di Reggio Emilia) e da quello partenopeo. Ieri il secondo grado ha ribaltato la decisione: Stephan Schmidheiny è stato condannato anche per il periodo in cui gestì la produzione emiliana e quella napoletana dal ’76 all’85. Non si sono mai arresi a Bagnoli: le parti civili, in nome delle 540 vittime della fibra killer, si riunirono a febbraio 2012 nel dopolavoro ferroviario dei Campi Flegrei con i rappresentanti dell’associazione «Mai più amianto» e i delegati della Fillea per ripresentare la documentazione al tribunale di Torino.

Ieri si sono commossi mentre assistevano alla diretta streaming all’Arci di Cavalleggeri d’Aosta: «È stato riconosciuto anche qui il reato, e le responsabilità penali e civili, di disastro doloso e omissione di cautele antinfortunistiche – spiega Giovanni Sannino della Fillea Campania -. Una discriminazione insopportabile è stata sanata in nome delle vittime e di un territorio devastato. In nome di un indispensabile piano di bonifica e di risanamento che quest’area attende. Spetta adesso a regione e comune, che hanno brillato per la loro assenza, saper interpretare le ansie e le aspettative di chi ha sofferto».

L’allora amministrazione comunale Iervolino non si costituì parte civile e quindi ora non è tra i risarciti. La regione retta dal centrosinistra si era mossa ma il successivo esecutivo Caldoro dopo la prima sentenza non ha proseguito la causa, preferendo attendere il terzo grado per chiedere eventualmente i danni in sede civile. Piemonte ed Emilia Romagna, con i relativi comuni, erano invece in tribunale. Accanto agli operai e ai familiari delle vittime napoletane per ora ci sono solo associazioni e sindacati a chiedere giustizia. L’Eternit è arrivata a Bagnoli nel 1936 e aveva 2.400 dipendenti, che nel 1985, anno del fallimento, erano scesi a 500. A Napoli in oltre 530 sono morti per cancro al polmone o alla laringe, asbestosi polmonare, mesoteliomi o cancro ovarico, circa 150 sono affetti da una patologia correlata all’amianto. In 244 si sono costituiti parte civile ma sono deceduti durante il processo.

Nessuno diceva agli operai quanto fosse pericoloso, solo pochi si cambiavano gli abiti da lavoro in fabbrica, molti portavano le polveri direttamente a casa, le mogli sono morte semplicemente per aver lavato le tute dei mariti. Nei primi anni l’amianto veniva trattato a mani nude, poi solo quelli che svuotavano i sacchi vennero dotati di mascherine. Nell’ultima fase furono introdotti la lavorazione a umido e gli aspiratori, non sufficienti a fermare l’asbesto. La fabbrica rientra nell’area sequestrata recentemente dalla procura di Napoli, che indaga sulla mancata bonifica. I capannoni dell’Eternit sono pieni di sacchi esposti alle intemperie. Nell’area – spiega Sannino – il recupero dell’amianto è giunto solo al 50% a causa dell’esaurimento dei fondi. Nel sottosuolo sono state trovate scorie 10 volte superiori a quelle previste».