Un esplicito giudizio di insufficienza della filosofia politica contemporanea, o quantomeno di un suo vistoso ritardo rispetto alla storia, fa da premessa all’ultimo lavoro di Stefano Petrucciani, Politica Una introduzione filosofica (Einaudi, pp. 251, € 22,00). «Francofortese» di lungo corso, Petrucciani non è nuovo a sintesi introduttive, nelle quali esprime la convinzione che la filosofia politica con il suo arsenale di argomentazioni razionali sia capace di irrobustire il dibattito pubblico e di qui l’intera vita democratica.

Il suo Modelli di filosofia politica (ancora Einaudi), risale al 2003, a quell’inizio di millennio in cui i mutati assetti planetari cominciavano ad essere riassunti nella categoria di globalizzazione. Articolato per paradigmi a partire dall’ordine della polis, il libro terminava con una lista di «questioni per la filosofia politica» sollevate dal nuovo corso globale, non senza annunciare che le prospettive di una democrazia comunicativa ed espansiva sarebbero state confrontate a sfide mai viste.

Un andamento dialogico
A distanza di quasi vent’anni, il nuovo libro assume quella lista di questioni come oggetto, e l’età globale come piattaforma di visione. Di qui, in ottica retrospettiva, è il modello contrattualistico a rivelarsi l’eredità più preziosa del pensiero politico moderno. Il libro ne delinea le coordinate essenziali secondo un andamento dialogico che confronta agilmente autori e famiglie politiche riconducendo gli argomenti al loro contenuto razionale e procedendo per biforcazioni ascendenti fino a costituire una vera e propria teoria della giustizia politica.
Il giusto ordinamento dovrebbe – sulla scorta della tutela argomentativa di Habermas e Rowls – garantire la libertà individuale, contrastare le ineguaglianze, incidere democraticamente sulle scelte politiche, cioè soddisfare le istanze che nel pensiero moderno sono state avanzate dalle visioni liberali, socialiste e democratiche. Concretamente, questa visione inclusiva si è tradotta nelle democrazie costituzionali, liberali e sociali affermatesi nell’Europa del secondo dopoguerra, dove convive con coriacei rapporti di dominio che ancora resistono al contrasto democratico.

Ma ecco che mentre «l’ideale è in cammino», la globalizzazione cala sul tavolo nuove sfide per affrontare le quali le risorse della tradizione moderna si rivelano largamente inadeguate. Non si tratta di mera impreparazione tecnica: «A mio modo di vedere si tratta soprattutto di una impreparazione filosofica, teoretica. Mentre il grande pensiero della modernità ci ha aiutato a elaborare i principi dei moderni patti costituzionali, quello che manca oggi è una riflessione che sia capace di mettere a tema con chiarezza e profondità concettuale quali potrebbero essere i principi ai quali ispirare le coordinate di un patto politico non più tra i cittadini di una comunità, ma tra i popoli dell’età globale. Su questo piano il lavoro del pensiero è rimasto indietro».

In altri termini: dalla piattaforma moderna non si possono impostare e risolvere le questioni attuali, tutte figlie della globalizzazione, che esigono un innalzamento dello sguardo – oltre lo Stato – e una postura cosmopolitica.
Nell’attraversare i fronti incandescenti del dibattito in corso e nel tentativo di sistemarne gli argomenti attorno a chiare architetture concettuali, il libro trova la sua quota maggiore di interesse.

Tutte le grandi questioni che si sono drammaticamente imposte – la salvaguardia di un ambiente vivibile, le migrazioni di massa, la giustizia globale, la difesa dei diritti umani – vengono ricondotte al terreno della democrazia – cui l’autore ha dedicato peraltro un’articolata introduzione (Democrazia, Einaudi, 2014).
Il fatto è che, per molti aspetti, la globalizzazione ha terremotato la democrazia anche nei suoi principi fondanti. È divenuto ineffettuale in primis il principio russoiano di coincidenza tra norme e autori delle norme: le decisioni politiche dei singoli stati sono sempre più determinate da organismi sovranazionali con debole legittimazione democratica, mentre gli stessi Stati europei a seguito dei movimenti migratori sono ormai abitati da milioni di «non cittadini».

A incontrare limiti evidenti è soprattutto la democrazia a misura di Stato-nazione, con il suo riferimento fondante alla territorialità, al confine, all’adesione volontaria dei cittadini. Nella comunità globale in cui siamo gettati di necessità, il quadro dei diritti e dei doveri reciproci muta radicalmente, così come mutano i principi da porre alla base di un ipotetico patto cosmopolitico.

In mezzo al guado
Possiamo globalizzare i diritti umani? Dobbiamo sostenere le minoranze oppresse? I principi di giustizia redistributiva sono suscettibili di un’estensione globale? Nell’articolare argomenti e contro-argomenti, Petrucciani si tiene a un’idea di filosofia politica «in mezzo al guado», riflessivamente tesa tra fatti e norme, contesti e principi. Come meta, un universalismo processuale e inclusivo, non prescrittivo, né escludente, dove ciascun popolo potrà dare di libertà, democrazia e solidarietà sociale la sua peculiare interpretazione. Ai sostenitori dei «valori asiatici» e a quelli dei «valori islamici» sembra tuttavia che – per ora – non basti.