Dopo aver visto il messaggio le colombe del Pdl si consolano come possono, «ma che poteva dire», «era ovvio che si scagliasse così contro la magistratura», «in fondo mica fa cadere il governo». I duri invece si fregano le mani. E a ragion veduta. Non solo per quel che il cavaliere decaduto ha detto ma anche e soprattutto per quel che non ha detto. La parola più temuta, l’incubo di chi la crisi la vuole il prima possibile era «responsabilità». Bastava una frasetta che rivendicasse il merito, nonostante gli immensi torti subiti, di tenere in piedi il governo «per senso di responsabilità in un momento così grave» e il senso del messaggio sarebbe stato opposto. La seconda parola maledetta che avrebbe consegnato la vittoria ai governisti era «stabilità». Mezzo accenno alla necessità, nonostante tutto, di garantire stabilità alla nave minacciata dal procelloso oceano della crisi sarebbe stata una campana a morto per falchi, pitonesse e tutto il bestiario.
Invece niente. L’unico ritocco al testo buttato giù in buona misura da Daniele Capezzone e Nicolò Ghedini, due rapacissimi, è quell’accenno iniziale ai «ministri», unico, scarno e tiratissimo richiamo al particolare che vede il morente Pdl in maggioranza e al governo. «Però – segnalano entusiasti i guerrafondai – li ha citati a proposito di un fronte che in questo momento tutto è tranne che tranquillo, le tasse, e lo ha fatto dandogli un mandato preciso. Li lascia lì per ora, ma col guinzaglio cortissimo». E poi gongolano speranzosi, «adesso bisognerà vedere come reagisce Epifani a un attacco di questa portata». A giudicare dalle prime reazioni del segretario del Pd, la mossa pare riuscita.
Conclusione. I falchi non hanno messo a segno lo sperato ko ma il punto, oggi, è tutto per loro. I prossimi giorni, dunque, saranno di nuovo decisivi. Oggi i ministri chiederanno al capo supremo di decidere sul proprio mandato. Conserveranno per ora la poltrona, questo almeno pare certo, ma c’è da scommettere che la conferma sarà accompagnata da proclami ultimativi e minacciosissimi sul fronte del fisco.
Perché Berlusconi vuole la crisi. E anzi col discorso di ieri ha già aperto la campagna elettorale. Ma vuole che non esploda ufficialmente sul suo disgraziato caso e scommette invece su altre due carte. Deve essere la guerra santa contro il «bombardamento fiscale» a provocare il botto. Oppure deve essere il Pd a dire basta, e lui ha già iniziato a fornire motivi in abbondanza per terremotare i nervi democratici.
Lo farà di nuovo tra oggi e domani, quando tornerà nella capitale? Non è escluso ma neppure certo. In forse, però probabile, la presenza del decaduto all’inaugurazione dell’alto comando forzista in piazza San Lorenzo in Lucina a Roma. Ancora in forse, ma meno probabile, la presenza a Porta a Porta. Possibile persino un secondo messaggio domani, ma qui le probabilità sono vicinissime allo zero.
Comunque, perché la bomba a orologeria innescata ieri esploda (o perché venga disinnescata davvero) ci vorrà del tempo. Tanto essendosi chiusa la finestra elettorale di novembre, il futuro affidato ai servizi sociali non ha più fretta. Tenere il governo sulla corda sino all’ora X non gli sarà difficile.
Del resto, se fosse necessario cercare altri segnali della decisione guerresca che, nonostante abbia rinunciato per ora ad aprire formalmente la crisi, campeggia nel cuore e nella mente del capo, basterebbe seguire i passi di un’altra Berlusconi, Marina. Ieri ha diramato la seconda nota in due giorni. Durissima, persino più della prima. Sarà anche vero che la primogenita a fare politica non ci pensa per niente. Però è un fatto che il ruolo dell’erede a tutto campo lo sta assumendo ogni giorno di più.