Arrivano da Cambogia, Giappone, Taiwan, Tailandia e Filippine i cinque lavori estremo orientali presentati quest’anno nella sezione ufficiale di Venezia, quasi tutti selezionati in Orizzonti, con il solo On The Job: The Missing 8 di Eric Matti ad essere incluso in concorso. Il regista filippino torna ai temi e alle narrazioni che lo resero celebre nel 2013, quando il neo-noir On The Job fu presentato ed applaudito alla Quinzaine des Réalisateurs di Cannes. Il film che porta a Venezia è infatti il secondo capitolo della saga, ma si avvale di personaggi e ambientazioni nuove, mentre il primo era ambientato a Manila, questo si svolge nella provincia filippina. Ad essere protagonisti sono ancora una volta dei detenuti fatti uscire di prigione per essere usati come killer, ma a differenza del primo lungometraggio questo nuovo lavoro esplora anche la corruzione ed il malaffare presente nel mondo dei media e non solo negli ambienti politici.

Scritto dalla moglie e sceneggiatrice Michiko Yamamoto, che già aveva contribuito al primo film, On The Job: The Missing 8 verrà presentato sul Lido come un lungometraggio di quasi tre ore e mezzo, ma Matti ha già confermato che verrà trasmesso da settembre sul canale HBO come serie a più episodi e che è in cantiere anche il terzo capitolo che concluderà la trilogia e che vedrà come protagonisti personaggi apparsi nei due precedenti film.

Nella sezione Orizzonti sarà invece presentato Bodeng Sar (White Building) di Kavich Neang, storia di Samnang, un ragazzo ventenne che assieme alla sua famiglia ed ai suoi amici vive in un palazzo a Phnom Penh destinato alla demolizione, fatto che altererà la vita dei suoi inquilini per sempre. Neang, classe 1987, ha studiato assieme a Rithy Panh e ha al suo attivo numerosi cortometraggi, nel 2019 con il pluripremiato documentario Last Night I Saw You Smiling, già esplorava la storia, vera, del White Building, lo storico complesso di appartamenti in cui era cresciuto e che fu abbattuto nel 2017. Il suo film presentato a Venezia rappresenta il debutto nel lungometraggio di finzione. Da Taiwan arriva invece Pu Bu (The Falls) di Chung Mong-Hong, già autore dell’ottimo A Sun, si tratta di un film ambientato in pieno periodo di pandemia nell’isola, dove una donna e la sua figlia cercano di riparare la loro difficile relazione. Wela (Anatomia del tempo) del tailandese Jakrawal Nilthamrong offre un affresco del passato conflittuale del paese, la dittatura militare e la conseguente resistenza dei comunisti, che si interseca con la storia personale fra passato e presente di Maem, una donna cresciuta negli anni sessanta nelle campagne tailandesi assieme ad un padre violento. Nilthamrong è artista e regista che si è cimentato con installazioni e cortometraggi sperimentali ed il cui Vanishing Point del 2015, il suo primo lungometraggio, anch’esso di taglio sperimentale, aveva vinto il Tiger Award al Festival Internazionale di Rotterdam.

Inu-Oh di Yuasa Masaaki, se non andiamo errati, rappresenta il ritorno di un lungometraggio animato giapponese a Venezia, che non sia targato Studio Ghibli, dopo Paprika del compianto Satoshi Kon nel 2006. Ultima fatica di uno degli autori, non solo d’animazione, più originali usciti dall’arcipelago negli ultimi decenni, il film porta sul grande schermo un libro di Hideo Furukawa su una figura del sarugaku, una forma di teatro popolare giapponese diffuso nell’antichità. Inu-Oh è deforme dalla nascita e per questo coperto di stracci e da una maschera, un giorno incontra Tomona, un musicista cieco ed attraverso la sua musica scopre di saper ballare divinamente.

I due vagabondano di villaggio in villaggio mettendo in scena i loro spettacoli e ad un certo punto Inu-Oh si rende conto di poter ipnotizzare gli spettatori e che si sta poco a poco trasformando in qualcosa di diverso e di infinitamente più bello. Il character design è opera di Taiyo Matsumoto, uno dei più grandi mangaka attivi nell’arcipelago, con cui Yuasa aveva già collaborato nel 2014 adattando il suo Ping Pong in serie televisiva, ed è un segnale positivo che a sceneggiare il lungometraggio ci sia Akiko Nogi, che scrisse uno dei più riusciti film di genere usciti nell’arcipelago negli ultimi anni, il pregevole zombie-movie I Am Hero del 2016. Questo perché spesso se Yuasa è lasciato da solo con la sua selvaggia fantasia e creatività rischia di andare fuori giri, un eccesso che talvolta funziona, ma qualche altra volta no. Completano la rappresentanza estremo orientale The Night di Tsai Ming-liang, cortometraggio di cui però si sa ben poco e Shen Kong del cinese Chen Guan in competizione nelle Giornate degli Autori.