Nel 1980 il rabbino Meir Kahane, statunitense naturalizzato israeliano, prese un foglio, una penna e cominciò a scrivere le prime frasi di «They must go» («Devono andare via»), il suo libro. In esso, senza autocensure, spiegò la sua idea di soluzione del «problema arabo», ossia la presenza dei palestinesi in Israele e di quelli nei Territori occupati che lui considerava parte di Eretz

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Israel, la terra di Israele del racconto biblico. Gli arabi, scrisse, distruggeranno lo Stato ebraico non con proiettili o bombe ma con il voto democratico e la demografia. Il loro numero, sottolineò, cresce velocemente. La soluzione? Agli arabo israeliani dovranno essere date tre alternative: la non cittadinanza, andarsene volontariamente con un risarcimento o essere espulsi con la forza. E se vorranno rimanere nella loro terra? «Non andremo da loro per chiedere, discutere o convincere», aggiunse «per ebrei e arabi in Israele c’è una sola risposta: la separazione, solo separazione…Gli arabi devono andare via».

In fondo la separazione totale che propugnava Kahane è una soluzione in cui ancora oggi tanti credono nel suo paese. E anche all’estero, stimati giornalisti e docenti universitari, nel 2021, 73 anni dopo la fondazione di Israele, non sono forse accaniti sostenitori dello Stato etnico quando si occupano di ebrei e palestinesi? Kahane ebbe il torto di mettere in pratica nelle strade il suo pensiero. Gli attivisti del suo partito, il Kach, dal 1971 al 1994, quando furono messi fuorilegge per «istigazione all’odio razziale», si resero protagonisti di violenze, aggressioni e intimidazioni a danno di arabi. E Kahane seminando odio restò vittima di un gesto d’odio. Un arabo lo assassinò a New York nel 1990. La sua eredità però è sempre presente. L’avvocato Itamar Ben-Gvir, suo discepolo, che considera un «eroe» il colono Baruch Goldstein – autore del massacro di 29 palestinesi a Hebron nel 1994 – da alcuni anni leader del partito Otzma Yehudit (Potere Ebraico, il nuovo Kach), questa sera, dopo la chiusura delle urne in Israele, avrà ottime possibilità di ritrovarsi eletto e membro della Knesset per merito in buona parte del primo ministro Benyamin Netanyahu.

I sondaggi assegnano quattro seggi a Otzma Yehudit e ai suoi alleati, l’ultranazionalista Ha Ichud Ha Leumi (Unione Nazionale) e, l’anti Lgbt, Noam (Piacevolezza), con cui Ben-Gvir ha presentato una lista comune su forte insistenza del premier impegnato contro «la dispersione dei voti a destra». I seggi della destra estrema potrebbero rivelarsi fondamentali per formare una maggioranza di governo di destra radicale guidata da Netanyahu. Il premier ha voluto compensare una potenziale perdita di consensi a favore del

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partito Nuova Speranza – nato nel 2020 da una scissione dal Likud guidata da Gideon Saar – e per questa ragione è stato il fautore dell’alleanza dei partiti di estrema destra religiosa, troppo piccoli per superare singolarmente la soglia di sbarramento del 3,25%. Netanyahu, sempre più spregiudicato in politica, potrebbe servirsi anche dell’appoggio esterno del partito islamista Raam – se entrerà alle Knesset – che pure è uno dei bersagli della propaganda d’odio di Otzma Yehudit.

Non solo il presente, anche il passato di Ben-Gvir non conta nulla per Netanyahu impegnato a sconfiggere i suoi rivali della destra laica e religiosa – oltre a Saar, deve vedersela con Avigdor Lieberman (Israele Baitenu), Naftali Bennett di Yamina (Destra) e Yair Lapid (Yesh Atid centrodestra) – e a infliggere un’altra umiliazione ai brandelli di centrosinistra che partecipano al voto. Alcune settimane prima che Rabin venisse ucciso nel 1995 a Tel Aviv da un estremista ebreo, Ben-Gvir strappò il distintivo dalla Cadillac del premier e dichiarò: «Come abbiamo raggiunto questo simbolo possiamo arrivare anche a lui». Per anni il leader di Otzma Yehudit è stato protagonista di intimidazioni violente contro i palestinesi residenti nella zona H2 di Hebron.

A chi gli rimprovera l’alleanza di fatto con un partito razzista, il premier risponde che non assegnerà ministeri a Ben-Gvir. Ma nelle future trattative per la formazione del governo, in una situazione che si prevede di sostanziale equilibro tra i campi pro e anti Netanyahu, i seggi di Otzma Yehudit varranno come l’oro. «Netanyahu non bada all’etichette è concentrato solo sull’aritmetica, su come conservare il potere» spiega l’opinionista Shmuel Rosner «se ciò significa che deve portare Ben-Gvir in parlamento, nessuno lo fermerà».