Gli strilli e gli alti lai arrivano al cielo. L’esagerazione è d’obbligo, l’iperbole dispensata a volontà. Quagliariello, pezzo da 90 della maggioranza, esorta a «non abrogare per sentenza la libertà educativa». Addirittura.

Il fratello d’Italia De Corato non si scoraggia e rilancia: «Condanna a morte per le paritarie». Più pacato, il capogruppo Ncd Lupi denuncia l’introduzione di una «pesante discrimazione e di una pericolosa diseguaglianza». Come per i neri dell’Alabama ai tempi della discriminazione conclamata: né più né meno.

Trattandosi di scuola, va da sé che tra i resti dell’esercito forzista spetti all’ex ministra dell’istruzione Gelmini scagliare la sua freccia: «È un paradosso! Qui si colpiscono le scuole cattoliche impugnando lo stesso principio d’eguaglianza negato per l’accesso al loro finanziamento». Non tacciono di fronte a cotanto affronto i cattolici del Pd. Beppe Fioroni, altro ex ministro dell’istruzione, invoca pronta risposta «prima di tutti da parte del presidente Renzi». Si aspetterà che il caudillo fiorentino metta fuori legge la Cassazione?

Pur chiamato in causa, Renzi se ne resta invece zitto zitto. Parla al suo posto la ministra in carica, Stefania Giannini, ma è tanto evasiva ed ermetica che per decodificare il suo pensiero tocca affidarsi ai particolari. Ritiene che «ci sia forse una riflessione da fare»: va bene non dire niente, però qui si esagera. Solo che tra le righe qualcosa la ministra invece dice. Quando riflette sul fatto che «senza le partitarie, nel Veneto, Stato e Regione si troverebbero in enormi difficoltà economiche e strutturali», si schiera.

La faccenda ha un aspetto ridicolo, trattandosi di una sentenza che potrà tutt’al più riguardare due anni e solo previo esplicito ricorso dei Comuni. Ma se ne coglie facilmente anche uno inquietante, trattandosi di un’offensiva lanciata in maniera congiunta dai cattolici dell’opposizione, della maggioranza e dello stesso Pd contro una sentenza della massima istituzione giurisprudenziale, la Corte di Cassazione. C’è infine un aspetto rilevante anche dal punto di vista della navigazione politica quotidiana.

Per la seconda volta in due giorni tutto il centrodestra, in maggioranza e all’opposizione, fa blocco.

Il fronte intercettazioni, infatti, è tutt’altro che chiuso. Nonostante il ministro della Giustizia Orlando abbia fatto capire di essere contrario all’emendamento Ncd che dispone il carcere per chi registra e diffonde intercettazioni «rubate», il capogruppo Lupi non demorde. «L’emendamento sulle intercettazioni illegali è una norma di pura civiltà giuridica. Si può discutere sulle sanzioni commisurate al reato, ma non sul fatto che sia reato».

Lunedì la legge sul processo penale sarà in aula. Governo e Pd, si può scommettere, tratteranno sulle modifiche da introdurre all’emendamento per addolcirlo, ma non lo aboliranno. I numeri non mancherebbero neppure quando la legge arriverà al Senato, dopo la pausa estiva. L’M5S e Sel non esiterebbero a votare la cancellazione dell’emendamento. Però la lacerazione sarebbe profonda e densa di possibili sviluppi, con una parte integrante della maggioranza che si ricompatta con l’opposizione di destra e il governo che, per farcela, deve chiedere aiuto a quella di sinistra. In qualche modo i due incidenti delle ultime 48 ore verranno chiusi. Ma segnano un precedente che peserà sul prosieguo della legislatura.

Il peggio, per Renzi, è che il nuovo fronte si apre nel momento peggiore. La scommessa sulla riforma fiscale si è rivelata subito meno vincente del previsto. Il «no» dell’Europa mette in scacco la scelta annunciata di cancellare la tassa sulla prima casa. Mentre si accinge a chiedere di allentare i vincoli, con il segreto miraggio di arrivare nel 2017 a ridiscutere lo stesso Fiscal Compact, il governo italiano non può permettersi di sfidare l’Europa su un capitolo tanto nevralgico quanto il fisco. I sondaggi, poi, rivelano che la maggioranza degli italiani, dopo aver abboccato infinite volte alle promesse bugiarde di Berlusconi, è diventata meno credulona. Degli annunci del fiorentino non si fida affatto.

Lo scoglio più temuto, tuttavia, resta la riforma costituzionale, perché precipiteranno lì tutte le tensioni. L’operazione Verdini segna il passo. Che i transfughi «responsabili» siano tanti da compensare le defezioni Pd è tutt’altro che sicuro: lo si capirà, quando l’amico Denis dovrà scoprire le carte elencando almeno 10 nomi necessari per far gruppo. I 25 e passa dissidenti Pd per ora non sono recuperati. Nel giornale più che amico, Repubblica, Stefano Folli ha scritto che per tutti quel passaggio sarà «come Stalingrado». Profezia poco rassicurante per palazzo Chigi.

Errata corrige

In una versione precedente dell’articolo la sentenza di cui si parla era attribuita alla Corte Costituzionale. Si tratta invece della Corte di Cassazione. Il testo ora è corretto. Ci scusiamo con i lettori.