Mezzo secolo fa, esattamente tra il 16 e il 18 giugno 1967, comincia l’Estate dell’amore, la cosiddetta Summer of Love, avendo quale epicentro la California e più precisamente la città di San Francisco o ancora meglio il quartiere di Haight-Ashbury, dove già da un paio d’anni vivono gli hippy, i fricchettoni, gli alternativi, i giovani ribelli, gli artisti stravaganti provenienti da tutti gli Stati Uniti e non solo. In realtà l’inizio ha luogo un po’ più a sud, in una località marittima – Monterey nell’omonima baia – dove John Philips, leader del quartetto vocale, The Mamas & the Papas, organizza il Monterey Pop Festival che, di fatto, anticipa la stagione dei mega-eventi, culminata poi nel biennio 1969-1970 con le rassegne di Woodstock, Wight, Newport Beach, Denver, Atlanta, Big Sur, Bath, Phun City (in Italia Palermo e Caracalla).
UNA FOLLA EDUCATA
In realtà Monterey è ancora una kermesse quasi «tradizionale» dal punto di vista della ambientazione e del numero di presenze: i musicisti si esibiscono all’aperto davanti a una folla educata (e seduta su comode seggiole) che in totale non supera le 200mila presenze (meno della metà che a Woodstock). C’è tuttavia un duplice elemento di sostanziale novità che sarà destinato a cambiare per sempre l’approccio dei più giovani verso la musica: innanzitutto le serate non sono più concentrate attorno a un unico nome famoso, introdotto da svariati supporter, come avviene tra il 1963 e il 1966 ad esempio ai concerti dei Beatles (a Roma il 27 giugno 1965 i Fab Four vengono preceduti da Peppino Di Capri, Fausto Leali e i New Dada); a Monterey, nonostante una scala valori differenziabile, la musica è democraticamente egualitaria: solisti e gruppi si esibiscono gratis (destinando i loro cachet in beneficenza) e si alternano per tre giornate, dal pomeriggio a notte fonda, regalando anche un quadro esaustivo dal punto di vista delle accese sonorità delle ultime generazioni; riascoltare su disco o rivedere in dvd ancora oggi i vari Jimi Hendrix, Ravi Shankar, Eric Burdon, Janis Joplin, Country Joe, Simon & Garfunkel o i Jefferson Airplane, i Grateful Dead, i Quicksilver e gli Who resta un’esperienza formidabile.
PRECEDENTI ILLUSTRI
Ma ciò che viene rivoluzionato nell’Estate dell’amore è il rapporto tra chi sta sopra e sotto il palcoscenico: simbolicamente la Beatlesmania in un certo senso finisce dunque a Monterey (paradossalmente gli Scarafaggi smettono di esibirsi dal vivo proprio a San Francisco l’anno prima, il 29 agosto 1966), perché i teenager scatenati e pronti a osannare spasmodicamente i divi pop di turno (meccanismo già rodato nel decennio precedente con i fan di Elvis Presley e di Frank Sinatra) diventano ora gli hippy, i freak, i pacifisti, i militanti, gli «orientali», tutti dotati via via di spirito di osservazione, desiderio di utopia, senso di appartenenza, voglia di rivoluzione.
In tal senso i ragazzi vogliono soprattutto condividere l’esperienza artistica (musicale in primis) come un fenomeno aggregativo, un momento diffuso, un rituale partecipato, dove venga annullata la separazione tra appunto chi sta sopra e chi sta sotto un palco o una pedana.
Il ruolo dell’artista al servizio del popolo resta in tal senso un’aspirazione giustificata e rincorsa fino a contemplare precedenti illustri, lungo un intero secolo, dai poeti maledetti al servizio della Comune di Parigi alle cosiddette avanguardie storiche a inizio Novecento con l’idea di ricostruire futuristicamente l’intero universo, fino al tentativo leninista, appena dopo la Rivoluzione d’Ottobre, di coinvolgere il proletariato nella ricerca espressiva, onde poter elaborare un’estetica radicale in perfetta sintonia tra la classe lavoratrice e gli operatori culturali; anche il concetto gramsciano di nazionalpopolare, benché praticato, in ritardo, solo dal neorealismo italiano, rientra metaforicamente tra gli antecedenti della Summer of Love e del Monterey Pop Festival, dove si anticipa, sia pur in un’unica, breve stagione, la ‘fantasia al potere’ di sessantottesca memoria.
Il rock vissuto a Monterey, la grafica, l’artigianato, il teatro di strada a Haight-Ashbury segnano dunque la fine dell’art pour l’art, del solipsismo intellettuale, della propaganda ideologizzante per approdare a estetiche, comunicazioni, idee, performance, in chiave libertaria, collettiva, sociale, quasi comunista.
In tal senso sarebbe interessante un parallelismo con quanto avvenuto l’anno prima con la rivoluzione culturale cinese che vuole cancellare ogni decadenza borghese per favorire un’arte creata dall’esperienza collegiale: non a caso i giovani maoisti preferiscono, per restare alla musica, il nuovo melodramma popolare ai repertori classici, accusati, all’epoca, di devianze reazionarie, secondo la vulgata del delfino ‘trotkista’ Lin Piao (misteriosamente scomparso cinque anni dopo).
Anche l’estate dell’amore ha il suo Lin Piao nell’agitatore Jerry Rubin – destinato anch’egli a «scomparire», ma fra i tentacoli dell’affarismo Usa con una bizzarra teoria di capitalismo soft – quando il 12 gennaio 1967 anticipa di sei mesi l’Estate dell’amore affermando che lo Human Be-In – l’evento svoltosi due giorni dopo al Golden Gate Stadium – avrebbe mostrato hippy e radicali uniti in nome dello stesso obbiettivo: inventarsi una comunità guidata da valori di amore e pace dove far nascere fantasmagoriche tipologie di relazioni interpersonali. E tenendo conto delle condizioni climatiche particolarmente favorevoli, all’alba del 14 gennaio, circa 20mila persone avevano già occupato il Golden Gate Park, riunendosi sul prato del campo di polo, per salutare il nuovo giorno attraverso canti, danze, incensi, fiori, bandierine, accompagnati sia dal suono di tamburi sia dall’acid rock dei Jefferson Airplane e dei Grateful Dead.
L’IMBOSCATA
La presenza dei mass media all’evento trasforma l’adunata nella prima manifestazione pubblica del movimento hippy e di fatto nel preludio «poetico» all’Estate dell’amore che simbolicamente finisce con un altro vento annunciato, il funerale simbolico Death of Hippie svoltosi al Buena Vista Park di San Francisco, il 6 ottobre 1967. Tre giorni dopo, in Bolivia, cade in un’imboscata Ernesto Che Guevara: sembra un triste epilogo, ma non sarà altro che il preludio alla contestazione generale della successiva primavera, quella che cambierà il mondo!
FUORI I DISCHI
La Summer of Love su disco è una miniera d’oro: prendendo in considerazione soltanto gli album rock a 33 giri (e dunque escludendo fenomeni affini come soul, r’n’b, blues e jazz) in un periodo ristretto, coincidente appunto con la stagione che va da giugno a settembre, c’è addirittura una dozzina di esordi in vinile straordinari, album divenuti quasi subito di culto.
L’inizio fa epoca perché nello stesso giorno di Sgt. Pepper, il 1° giugno, esce l’album omonimo di David Bowie, ancora beat e cantauriorale, ma in cui si intravedono già istanze glam e dark; esattamente dodici giorni dopo l’uscita del Sergente Pepe, il beatle Paul McCartney pubblica negli Usa The Family Way che, oltre essere il primo dei lavori solisti di uno dei quattro Scarafaggi, è anche la colonna sonora dell’omonimo film con un taglio decisamente classico, ripreso solo un quarto di secolo dopo dal Macca sinfonista con gli album Liverpool Oratorio, Standing Stone, Working Classical, Ecce Cor Meum.
Restando nel Regno Unito il 5 agosto tocca ai Pink Floyd con The Piper at the Gates of Dawn rappresentare la giovane psichedelia britannica, mentre a settembre Shake Down della londinese Savoy Brown Blues Band suona quasi come una lode ai classici del blues afroamericano, prima di virare verso un più deciso hard rock. E sempre a settembre esce Blowin’ Your Mind! del cantautore nordirlandese Van Morrison che, lasciato il gruppo Them, si orienta verso un suono più soul blues, congeniale fra l’altro al viaggio negli Usa dove registra l’album: è l’esatto contrario di quanto compiuto da Jimi Hendrix, americano, che apre a Londra, nel maggio precedente, con Are You Experienced a nome The Jimi Hendrix Experience, debutto uscito negli Stati Uniti solo il 23 agosto successivo.
E al di là dell’Atlantico, a giugno, due surrealistici esordi per la scena alternativa rock: da un lato The Parable of Arable Land del gruppo Red Crayola (with the Familiar Ugly), dall’altro lato Side Trips dei Kaleidoscope, vantano in entrambi i casi due leader (rispettivamente Mayo Thompson e David Lindley) in seguito famosi anche da solisti, mentre qui propongono una complessa psichedelia mista a folk e rumorismo; a settembre ancora esordi psichedelici con No Way Out dei Chocolate Watchband vicini al garage rock e con la colonna sonora di The Trip degli Electric Flag orientati verso il blues-rock. E in mezzo è ancora il blues la chiave di lettura per altri due straordinari inizi, ossia due album Canned Heat e Big Brother and the Holding Company di due omonime band californiane – da Los Angeles e da San Francisco – da cui emergono i tragici, comuni destini di Alan Wilson e Janis Joplin (morti entrambi ventisettenni per abuso di stupefacenti).
Negli Usa, tra le conferme di gruppi e solisti, va anzitutto ricordato che il 1° giugno esce in contemporanea internazionale Double Trouble, tra i peggiori album di Elvis Presley, ennesima colonna sonora delle commediacce in cui il re del rock’n’roll viene ormai costretto a recitare per motivi contrattuali (non a caso l’anno dopo, The Pelvis abbandonerà i set hollywoodiani per tornare ai concerti e alla musica).
Da allora nei tre mesi successivi ci sono le conferme per altri protagonisti della scena psych come Insight Out degli Association, One Nation Underground dei Pearls Before Swine, Triangle dei Beau Brummels, Future dei Seeds e Goodbye and Hello dell’immaginifico cantautore sperimentale Tim Buckley; e a proposito di cantautorato sono gli album di due artiste, Joan di Joan Baez e Fire & Fleet & Candlelight di Buffy Sainte-Marie, a tenere alto il vessillo dei folksinger impegnati.
A settembre invece – a parte dischi meno noti, ma psichedelicamente validi come Underground degli Electric Prunes e Earth Music degli Youngbloods – si assiste alla conferma di tre nomi già allora destinati a «fare storia»: Smiley Smile è il disco con cui i Beach Boys transitano dalla giovanilistica surf music verso una ricerca formale originalissima, Safe as Milk di Captain Beefheart and His Magic Band svela la genialità dadaista di un seguace zappiano e Strange Days dei Doors conferma quella che è forse la miglior band del momento in quanto a spirito dionisiaco.
In Gran Bretagna, tranne Something Else by The Kinks dei Kinks (ostinatamente cabarettistici), i gruppi beat o i cantautori si psichedelizzano: ecco allora l’album omonimo degli Small Faces o Sunshine Superman di Donovan; allo stesso tempo umori modaioli e avanguardistici si avvertono persino in Crusade di John Mayall, alfiere del british blues; i Rolling Stones, ancora al lavoro sul bislacco Their Satanic Majesties Request (uscirà l’8 dicembre), per contenere la concorrenza beatlesiana tornano il 15 luglio con un’antologia dal titolo appropriatissimo per l’estate dell’amore: Flowers.