L’ambientazione è un «paesone» siciliano, come lo definisce il racconto, che potrebbe essere Modica. Il protagonista è Enrico Belfiore, figlio di una famiglia comunista integerrima con un padre sindaco (del comunismo italiano porta il marchio fin dal nome che è un omaggio a Enrico Berlinguer, di cui nella sua stanza ha una gigantografia), la periodizzazione è fine anni ottanta/anni novanta: vigilia e caduta del Muro di Berlino con tutte le conseguenze del caso. L’humus, in questa parte di Sicilia profonda, assomiglia a una realtà fatta da tanti Peppone e Camillo, con una contrapposizione radicale tra valori e stili di vita, tra legalità e mafia. L’opera prima letteraria di Luca Scivoletto, che di mestiere fa lo sceneggiatore e il regista, I pionieri (Fandango libri, pp, 336, euro 18), è fatta di una scrittura rapida ed efficace: sembra pronta per trasformarsi in un trattamento cinematografico, si legge scivolando tra personaggi ed episodi.

LA FAMIGLIA BELFIORE ci tiene alla sua «diversità» comunista: niente vacanze, mai gite o spensieratezza ma solo attività politica al centro della sua maniera di vivere, i genitori sono uniti e non pensano al divorzio. La vita famigliare è quindi nutrita quasi esclusivamente di politica. «Siamo diversi» è la parola d’ordine di riferimento. Il giovane Enrico cresce perciò a margine delle riunioni di partito, in attesa che si concludano, tra i fumi delle sigarette: lui si diverte ad analizzare le scarpe – di solito ben pulite – intuendo la personalità di chi le indossa. Chiara, la sorella, è invece la pecora nera con la sua inesistente voglia di seguire le direttive dei genitori: si ribella e va a studiare lontano da casa. Tra le pagine del libro affiorano le ombre di Togliatti, Berlinguer, Ingrao (Belfiore senior non segue Occhetto nella sua «svolta» per cambiare nome e simbolo del partito).
Tutte le liturgie del fare politica di una volta sono descritte con tic, nostalgia, simpatia/antipatia. Enrico fa il suo esordio a scuola proprio nell’anno in cui crolla il «socialismo reale»: la maestra lo deride perché sa da che famiglia proviene. Il contorno è quello di una fase di grandi passioni vissute interamente. Nella narrazione non manca una forte dose di ironia.

Accanto a Enrico, c’è Renato: l’amico del cuore pure lui comunista di ferro che non frequenta chi la pensa diversamente e non acquista scarpe di firma. Enrico e Renato sono «diversi» dai loro coetanei nei gusti musicali e finanche nel vestire. Però Renato è sicuro nelle sue certezze, mentre Enrico inizia a mettere in discussione le verità di famiglia. In questo percorso di ridiscussione, s’innamora di Alessia, figlia di un costruttore e dai modi di vita conformisti. Il malessere di Enrico emerge quando con Renato cerca di incontrare Pietro Ingrao alla fine di un comizio: l’attesa sarà estenuante. Pagine divertenti sono dedicate qui e là al mondo comunista che si dissolve sotto gli occhi di Enrico e Renato: comizi, l’azione dissacrante di Occhetto, il disagio e l’incertezza dei militanti in riunioni fiume a iniziare ovviamente dalla famiglia Belfiore.

QUESTO RACCONTO si inserisce nella tradizione di quelli di iniziazione e formazione. Due adolescenti, che si considerano all’inizio giovani «pionieri» della tradizione comunista, cercano la propria strada. Non sanno – soprattutto Enrico – se conservare la loro «diversità» o accettare la normalità del mondo che li circonda. Faranno visita finanche alla base militare di Comiso per esprimere le proprie idee. L’incursione finirà con una sorpresa.

Cosa è rimasto della «diversità» è un interrogativo lacerante. Alcuni comunisti l’hanno vissuta (e la vivono) come superiorità antropologica, altri l’hanno semplicemente dismessa ritenendola vacua. Altri ancora sono convinti tuttora della sua utilità, pur vivendola in dose ridimensionata. E cosa salvare della stagione della politica intesa come impegno totalizzante? Nella maturità, chi è diventato Enrico Belfiore? Questo racconto ci ripropone queste domande in forma letteraria con tanta ironia e un pizzico di nostalgia.