Pronostico rispettato nelle prime elezioni presidenziali della Tunisia. Sebbene i risultati ufficiali non siano ancora noti – saranno annunciati dall’Istanza superiore indipendente per le elezioni (Isie) entro 48 ore dalla chiusura dei seggi – tutti gli exit poll concordano con i dati diffusi dalla società di sondaggi Sigma Conseil: il candidato di Nidaa Tounes Béji Caid Essebsi sarebbe in testa con il 42,7% dei voti, seguito a dieci punti (32,6%) dal presidente uscente Moncef Marzouki, al terzo posto il leader del Fronte popolare Hamma Hammami con il 9,5, seguito dal miliardario Slim Riahi (Unione patriottica libera, 6,7) e Hechmi Hamdi (altro uomo d’affari che risiede a Londra) che ha ottenuto il 3,9, nonostante si fosse ritirato dopo lo scarso risultato delle legislative. Da notare che il 95% dei voti è stato attribuito a questi primi cinque candidati mentre il restante 5% si è distribuito tra gli altri 22. Non si hanno per ora notizie sul risultato dell’unica donna in lizza, la magistrata Kalthoum Kennou.

Le percentuali potranno variare ma la tendenza sembra confermata e i sondaggi, ancora una volta, sembrano più credibili proprio nel paese in cui sono vietati. Tuttavia per proclamare il primo presidente eletto della Tunisia occorrerà attendere il ballottaggio che si svolgerà il 28 dicembre. E in vista della corsa finale diventano determinanti i voti del Fronte popolare e dell’Unione patriottica libera. Finora non ci sono indiscrezioni e nemmeno Bèji Caid Essebsi, che deve giocarsi l’ultima carta con grande attenzione, ha voluto fare dichiarazioni in attesa della proclamazione del voto. C’è tempo, ben un mese, per raggiungere accordi più o meno segreti.

L’attesa è però soprattutto per il voto islamista, che non aveva un proprio candidato alla presidenza e, al primo turno, non ha espresso ufficialmente il proprio appoggio, anche se molti dirigenti e la milizia armata (la Lega per la protezione della rivoluzione) hanno sostenuto Marzouki. L’ex presidente ha sicuramente più affinità con gli islamisti (soprattutto dopo la coabitazione di governo), ma i Fratelli musulmani, di cui Ennahdha è la rappresentanza tunisina, sono anche molto pragmatici e hanno già tentato un accordo con il laico Essebsi, in cambio di ministeri – istruzione, affari sociali e sport – nel prossimo governo. Finora il leader di Nidaa Tounes (partito autodefinitosi modernista) non ha ceduto alle lusinghe islamiste ben sapendo che avrebbe potuto perdere parte del suo elettorato. Il partito ha infatti vinto le elezioni politiche proprio perché percepito come l’unico in grado di battere Ennahdha.

L’alleanza più prevedibile dovrebbe essere quella di Nidaa Tounes con il Fronte popolare: dopo l’assassinio di Belaid e di Brahmi c’era stato un tentativo di unire tutte le forze laiche e allora, nel 2013, sembrava possibile un accordo elettorale che invece non si realizzò. Se la vittoria di Essebsi sembra a portata di mano, nonostante la sua età (sta per compiere 88 anni), perché molti vedono in lui la persona in grado di rimettere la Tunisia sulla strada dello sviluppo e in grado di garantire la sicurezza, c’è anche chi comincia a temere il ritorno di un “potere unico” visto che Nidaa Tounes ha anche la maggioranza in parlamento. E su questo timore punta Marzouki, che ha fatto tutta la campagna contro il ritorno del vecchio regime evocata dal passato burghibista del suo rivale. Che infatti ha raccolto voti anche tra chi rimpiange Burghiba.

Del resto Moncef Marzouki sconta il fallimento della sua presidenza e ha già dichiarato che se perderà la sua poltrona si ritirerà anche dal partito, il Congresso per la repubblica che ha ottenuto solo 4 seggi in parlamento. Ma per ora non si dà per vinto e ha lanciato una sfida incaricando Essebsi di formare il nuovo governo in quanto vincitore delle elezioni legislative del 26 ottobre, in base all’articolo 89 della costituzione. Gli esperti si sono divisi sull’interpretazione di quell’articolo, buonsenso vorrebbe che fosse il nuovo presidente ad affidare l’incarico, ma la risoluzione della questione è stata rinviata al Quartetto (formato dal sindacato Ugtt, dalla confindustria Utica, dalla Lega per i diritti dell’uomo e dall’ordine degli avvocati) che ha diretto finora il Dialogo nazionale.