Dieci senzatetto sono morti a Roma nelle ultime settimane, ma ad essere inaccettabile per alcuni cittadini perbene dell’Esquilino è il degrado sotto i portici di Piazza Vittorio. In una diffida inviata al Comune e al Municipio, firmata da circa settecento persone, si mettono insieme sporcizia e persone – secondo una catena logica che collega polizia e pulizia. Sull’onda del limitato clamore mediatico locale, e sotto la solita squallida retorica del decoro, c’è stato uno sgombero e diverse “ronde” della polizia.

All’Esquilino c’è spaccio e piccola criminalità ma di questa – come è banale osservare ma difficile capire – non possono essere colpevolizzati tutti i senza tetto in quanto tali. Rilevare ciò non significa negare l’esistenza di problemi materiali e concreti che esistono – e sarebbe sciocco negare – ma semplicemente affrontarli e qualificarli in modo diverso. Pochi si chiedono quali siano le condizioni di vita e le regole delle strutture dove potrebbero andare le persone senza casa. Certo è difficile fare queste valutazioni se si entra nella paranoia da “ostaggi in casa propria” – come detto in un appello del rione di qualche mese fa.

La frustrazione di chi vive nei portici è comprensibile, meno lo è la violenza ideologica con cui si mettono insieme così tante persone responsabilizzandole per le azioni di singoli individui. Violenza temperata – e spesso contraddetta – dalle azioni di alcuni tra gli stessi estensori della diffida che, dopo aver chiesto l’allontanamento forzato dei senza tetto, si sono trovati alcune notti a cercare soluzioni abitative per i medesimi, scontrandosi con la scarsità di strutture del Comune.

Tuttavia, il processo di rivalutazione del valore degli immobili legato all’arrivo di nuovi cittadini benestanti, all’apertura di diversi nuovi locali e alla riapertura dei due giardini di Piazza Vittorio e Piazza Dante ha bisogno di un’operazione di polizia sulla composizione della popolazione del quartiere e sull’aspetto dei marciapiedi. Non a caso, la diffida è stata firmata anche da chi non vive nel quartiere ma possiede una seconda casa. La comunità di proprietari dietro alla diffida si appella al Diritto, alla sicurezza, al decoro.

Dalla lettura della diffida sembra che il diritto dei privati sia assoluto. Dato che il suolo dei portici appartiene ai proprietari dei condomini che lo danno in servitù al Comune, gli estensori della diffida possono affermare il diffuso individualismo proprietario – a volte temperato dalla rivendicazione di essere anche tra coloro che portano coperte. Pur se in modo contraddittorio, diventa così legittimo chiedere che i poveri vengano spostati altrove e internati coattamente – come proposto dal deputato di Fratelli d’Italia Mollicone, che ha chiesto che anche gli extracomunitari in quanto tali vengano rinchiusi. Il diritto, che è un rapporto sociale e non una mera istanza disciplinare, rimane quello di escludere e perimetrare, non un campo di tensione in cui operare per espandere libertà e sicurezza sociale per i non-cittadini.

D’altro canto, ci sono tantissime associazioni che lavorano sul territorio e suppliscono alle mancanze delle istituzioni ma a Giornale, Tempo e Corriere della Sera, e ai vari programmi scandalistici della destra televisiva non interessa. Se è vero che il Municipio I del Pd non ha preso le distanze dalla diffida, ma al contrario ne ha parzialmente legittimato le istanze, è anche vero che ha avviato un patto di comunità con diverse associazioni e stanziato delle risorse per fornire l’alloggio ad alcuni senzatetto, secondo percorsi personalizzati.

Oltre ad un profondo ripensamento del tema e della politica della sicurezza, c’è bisogno di interventi articolati che riguardano il welfare, l’illuminazione, le attività commerciali, sociali e culturali. Non certo per accentuare la violenza dell’esclusione, attraverso i Daspo del Decreto Minniti-Orlando – invocati dai firmatari -, ma al contrario per creare nuovi spazi di solidarietà.

* Una versione più lunga dell’articolo è uscita su Gli asini rivista