Porteranno il nome di un loro candidato premier, quando saliranno al Colle per le consultazioni con il rieletto presidente della Repubblica. L’intenzione dei capigruppo del Movimento 5 Stelle è puntare molto in alto per poi trattare la presidenza almeno di un paio di Commissione parlamentari. «Non ci hanno dato né la presidenza della Camera né il questore. Ora voglio proprio vedere come faranno a negarci Vigilanza Rai e Copasir».

La deputata Mara Mucci preme per questa soluzione, ma la sua non è una posizione isolata tra i parlamentari a cinque stelle. Ne hanno discusso a lungo ieri sera in una riunione congiunta dei gruppi di Montecitorio e Palazzo Madama durante la quale è stata anche presa la decisione – a maggioranza –di espellere il senatore Marino Mastrangeli, reo di aver partecipato prima a Pomeriggio Cinque, il salotto Mediaset di Barbara D’Urso, e poi, ancora ieri mattina, a L’aria che tira, su La7, in quello che il «cittadino» (così devono definirsi i deputati) Vignaroli ha bollato come un «teatrino» surreale duettato con Alessandra Mussolini.

Tutto questo malgrado il «Codice di comportamento» stellato imponga agli eletti di «evitare la partecipazione ai talk show televisivi».
Mastrangeli non l’ha «evitato» e anzi è passato al contrattacco del suo capogruppo Vito Crimi, a sua volta incapace di resistere alla sirena di Bruno Vespa. L’ espulsione (con passaggio al gruppo misto, perché il senatore non intende rinunciare al mandato) dovrà essere ora «ratificata da una votazione on line sul portale del M5S tra tutti gli iscritti». Mastrangeli aveva «preteso» inutilmente che la riunione congiunta dei gruppi di Camera e Senato fosse in diretta streaming.

Avrebbe potuto dire urbi et orbi che lui è «come Bruce Lee, ne atterro 50 alla volta» e che il processo contro di lui «è una farsa». «Solo in Corea del nord si vieta – si è difeso il senatore durante la riunione – E il codice di comportamento non vieta, consiglia». Se si vuole mettere «la mordacchia», ha contrattaccato Mastrangeli, «siano i 50 mila iscritti a decidere, loro sono più ragionevoli e diranno di no». Ma il senatore ha perso su tutta la linea: anche la sua richiesta di dimissioni del capogruppo Crimi è stata respinta all’unanimità dall’assemblea dei parlamentari.
Nella stessa riunione gli eletti del M5S hanno deciso come commentare il discorso di Napolitano (per la verità a qualcuno di loro era già sfuggita qualche frase, come quel paragone con l’insediamento del presidente egiziano Morsi azzardato dal «cittadino» Sorial). La parola spettava solo a Roberta Lombardi e a Crimi: i due hanno bollato quello di Napolitano come «un discorso politico, in barba al ruolo di garanzia che un Capo dello Stato dovrebbe mantenere».

Al presidente che aveva apprezzato l’impegno dei parlamentari stellati sulla «strada di una feconda, anche se aspra, dialettica democratica e non quella, avventurosa e deviante, della contrapposizione tra piazza e Parlamento», e aveva stigmatizzato anche la «contrapposizione tra Rete e forme di organizzazione politica quali storicamente sono da ben più di un secolo e ovunque i partiti», i capogruppi M5S hanno risposto: «Sostanzialmente ci dice che una volta entrati nei banchi della casta dobbiamo stare alle loro regole|.

\Noi, invece ribadiamo di essere stati eletti perché quelle “regole”, quelle logiche, non hanno funzionato e devono essere cambiate». «Infine – concludono Crimi e Lombardi – fa sorridere che all’ammonimento fatto dal Capo dello Stato sulle riforme che non sono mai state attuate negli ultimi anni, gli stessi partiti che non hanno voluto farle, abbiano fatto seguire dai loro banchi scroscianti applausi».