«Ma che ci vado a fare in Bosnia? Lì non conosco nessuno, non parlo neanche il bosniaco. Mi sentirei perso. L’unica cosa che potrei fare è cercare di tornare al più presto qui, in Italia». Parla bene la nostra lingua Jovanovic, e non potrebbe essere altrimenti. Il nome, Jovanovic Dalibor, è infatti l’unica cosa che lo identifica come uno straniero, perché per il resto è italianissimo. E’ nato 23 anni fa ad Aversa, da genitori bosniaci fuggiti in Italia. Da dicembre scorso, però, è rinchiuso nel Cie romano di Ponte Galeria, in attesa di essere espulso in Bosnia. Una decisione che non riesce a capire, visto che è nato qui da noi, ma che soprattutto lo spaventa molto. «Davvero non conosco nessuno, non saprei proprio da dove cominciare».

Il caso di Jovanovic è un paradosso, una delle tante assurdità che è facile trovare nei centri di identificazione ed espulsione in cui vengono rinchiusi gli immigrati sprovvisti di permesso di soggiorno e in attesa di essere rispediti come pacchi nel proprio paese. Già, per chi ce l’ha un paese dove tornare. E non è il caso di Jovanovic. Intendiamoci. Non che lui i suoi errori non li abbia fatti. Nel 2011 la polizia lo ha sorpreso mentre cercava di svaligiare un appartamento a Villaricca, grosso centro di 30 mila abitanti in provincia di Napoli. I due anni successivi li ha passati a Poggioreale, da dove è uscito il 17 dicembre dell’anno scorso. Con un biglietto di sola andata per la Bosnia, frutto di un ordine di espulsione deciso dal tribunale di sorveglianza di Napoli. Nel frattempo, la tappa intermedia in attesa di essere imbarcato, è il Cie Ponte Galeria, dove si trova rinchiuso ormai quattro mesi. «Un’assurdità», commenta l’avvocato Serena Lauri che assiste Jovanovic. «Fa paura pensare che ha decidere l’espulsione sia stato un tribunale di sorveglianza: dove dovrebbe essere espulso visto che è nato qui?», è la domanda che si pone anche il legale. «La corte di Strasburgo ha più volte condannato gli Stati che hanno espulso gli stranieri residenti da lungo tempo e gli immigrati di seconda generazione, anche a seguito di reati», prosegue l’avvocato. Il principio seguito è quello che l’esigenza di tutelare la società da un presunto pericolo non è tale da giustificare la lesione del diritto di mantenimento dell’unità familiare. «Tanto più nel caso di Jovanovic, visto che la sua famiglia risiede in Italia», conclude l’avvocato Lauri.

A complicare ulteriormente le cose ci si è messa nei giorni scorsi l’ambasciata bosniaca a Roma. Alla richiesta di identificare Jovanovic in modo da poter poi procedere con l’espulsione, l’ambasciata ha dato la sola risposta possibile: ha negato che il giovane sia bosniaco, come infatti è, e reso impossibile di conseguenza il rimpatrio.

A questo punto la situazione, già paradossale, si è bloccata. Che fare di Jovanovic? La risposta più sensata sarebbe quella di rimetterlo in libertà, tanto più che ha già pagato il suo conto con la giustizia e quindi non avrebbe alcun motivo per essere trattenuto ulteriormente. Già, ma così sarebbe troppo semplice per la burocrazia che governa i Cie. E così pochi giorni fa il giudice di pace ha prorogato di altri due mesi il trattenimento di Jovanovic a Ponte Galeria. Privato della libertà per altri sessanta giorni.
E’ chiaro che in questo modo, di proroga in proroga, Jovanovic rischia di passare a Ponte Galeria fino a un anno e mezzo, vale a dire il tempo massimo che per legge uno straniero può essere trattenuto in un Cie prima di essere liberato. Una carcerazione dal sapore oltremodo ingiusto.

L’avvocato Lauri ha chiesto al giudice di pace una sospensiva dell’espulsione, che se accettata consentirebbe a Jovanovic di raggiungere Napoli, dove vive la madre. Nel frattempo è stata anche avanzata al tribunale di Roma una domanda di riconoscimento dello status di apolide, cosa che permetterebbe a Jovanovic di poter finalmente regolarizzare in maniera definitiva la propria situazione. «Sarebbe una cosa bellissima», commenta il giovane. «Con il passato ho chiuso. Il carcere mi ha cambiato, mi ha fatto capire i miei errori e adesso l’unica cosa che voglio è trovarmi un lavoro. Se solo riuscissi a uscire da qui».