È confermato: c’è una spina nel fianco del Movimento 5 Stelle che siede proprio al collegio dei probiviri, l’organismo che ha dovuto pronunciarsi sull’espulsione dei primi 36 parlamentari che hanno votato contro la fiducia a Draghi. È la consigliera comunale di Villorba, nel trevigiano, Raffaella Andreola, che giù nei giorni scorsi si era dichiarata contraria alla sanzione richiesta da Vito Crimi e che ieri ha ribadito il concetto.

DI PIÙ: fino a oggi non era mai successo che una decisione presa dai probiviri non venisse presentata come unitaria. E invece questa volta Andreola annuncia il risultato e al tempo stesso se ne dissocia: «Dichiaro che la riunione del Collegio si è conclusa – sostiene Andreola – Sono rimasta coerente a quanto dichiarato. Il Collegio ha deciso a maggioranza con il mio voto contrario l’apertura dei provvedimenti disciplinari». Per Andreola, le espulsioni «potrebbero avere dei possibili rilievi di illegittimità, perché posto in essere su indicazione dell’ex capo politico senatore Crimi, attualmente a mio avviso non titolato a tali indicazioni».

Si spinge oltre, invitando gli espulsi a presentare ricorso contro i provvedimenti e chiedendo che ancora una volta sia la base ad esprimersi. «Esorto vivamente i miei colleghi – aggiunge rivolgendosi agli altri probiviri – a desistere da azioni che potrebbero essere oggetto di ricorsi. Rimetto agli iscritti la decisione chiedendo l’apertura immediata della votazione in piattaforma per decidere in merito all’espulsione». Sembra una boutade gettata lì da una consigliera comunale di provincia che si ritrova al crocevia degli scontri interni al M5S, ma potrebbe essere la descrizione del campo della battaglia sul futuro dei 5 Stelle.

COSÌ, MENTRE alcuni dei sanzionati stanno giù muovendosi verso la creazione dei gruppi autonomi, riprende vigore l’ipotesi che il voto sul governo Draghi possa sfociare in una guerra interna, politica, sul regolamento interno ma anche legale. Ieri ha esternato via Instagram anche Alessandro Di Battista.

L’ex deputato ha ribadito la sua posizione: «Non sono io che non la penso più come il Movimento 5 Stelle, è il Movimento 5 Stelle che non la pensa più come una volta». Ha rivelato che i vertici dei 5 Stelle gli avevano chiesto «una mano» nei giorni dello scontro con Renzi prima della caduta del secondo governo Conte, cosa che lo fa sentire ancora più tradito. «Conte l’ho sempre appoggiato anche quando non la pensavo come lui. E me ne sono andato ma senza sbattere la porta».

Così, mentre Di Battista ribadisce di non volersi mettere alla testa di nessun soggetto («Sono un libero cittadino. Non faccio correnti»), fa da sponda alla linea anticipata da Andreola: «Alcuni mi hanno chiesto consiglio, gli ho detto ‘Fate ricorso per essere riammessi nel movimento, se vi credete nel giusto’. Se si votasse sono convinto che la grande maggioranza degli iscritti voterebbe contro».

DAVIDE CASALEGGIO secondo alcuni sarebbe della partita. Ufficialmente tace, anche chi ci ha parlato racconta di averlo trovato «imperscrutabile». Ma è almeno dagli Stati generali in poi che aspetta una rivincita nei confronti dei governisti. Prova ne è che solo pochi giorni fa, nel dare notizia della ratifica dell’istituzione della leadership collegiale dal Blog delle Stelle, da Rousseau è arrivato un testo che sosteneva che in attesa della scelta dei componenti l’attuale reggente Crimi avrebbe dovuto limitarsi alla normale amministrazione.

È dovuto intervenire Grillo per reinsediare il capo politico pro tempore almeno per il tempo necessario a mantenere la disciplina interna. Casaleggio ha fatto anche un’uscita, insolita per lui, provando a sostenere la legittimità dell’astensione sul governo Draghi in nome del supremo obiettivo di mantenere l’unità interna del M5S.

La manovra del referente di Rousseau non è riuscita, tanto che le lettere di espulsione dai gruppi parlamentari (quelle che notificano provvedimenti per i quali non c’è bisogno di probiviri e che sono comminati dai capigruppo) sono arrivate anche a chi si è astenuto. Ieri ne ha dato notizia Alessio Villarosa, che fino a poche settimane fa era sottosegretario all’economia e aveva la delega alle banche.

Giovedì scorso, appunto, aveva deciso di astenersi. Nella sua condizione ci sono altri tre deputati, mentre altri dodici grillini non hanno partecipato al voto. Secondo quando anticipato da Crimi, anche per questi ultimi, se ingiustificati, dovrebbe scattare la mannaia. «È solo l’inizio di una partita a scacchi che condurrà alla scelta della nuova governance del M5S», riflette un parlamentare. Una contesa con numerose variabili, non solo quella dei dissidenti. A partire dal ruolo che deciderà di assolvere Giuseppe Conte.