Un esposto alla procura di Napoli sul caso della Asso 28, la nave italiana che il 30 luglio ha riportato in Libia 101 migranti senza dare loro la possibilità di chiedere asilo. L’iniziativa è del Coordinamento per la democrazia costituzionale, a firmare l’atto il sindaco di Napoli Luigi de Magistris con alcuni giuristi come Felice Besostri, Guido Calvi, Domenico Gallo, Luigi Ferrajoli, Livio Pepino, Massimo Villone, Mauro Volpi e diverse personalità come Moni Ovadia, Raniero La Valle, Vincenzo Vita, Alfonso Gianni e Alfiero Grandi. Chiedono alla procura di «verificare se vi sia stato un respingimento collettivo di migranti vietato dalla convenzioni internazionali».

La società proprietaria della Asso 28, la Augusta Offshore, ha sede a Napoli e nei giorni scorsi ha sostenuto che nell’episodio in questione non vi è stato il coinvolgimento del centro di coordinamento della guardia costiera italiana e l’operazione è stata gestita dalla guardia costiera libica, all’interno dell’area di soccorso di Tripoli. Stessa ricostruzione ha offerto il governo italiano. Altre testimonianze parlano di un iniziale coinvolgimento del coordinamento dei soccorsi di Roma. Mentre è certo che la nave Asso 28, che fornisce assistenza a una piattaforma dell’Eni e batte bandiera italiana, deve considerarsi a tutti gli effetti territorio nazionale. «Sussiste pienamente la giurisdizione italiana sull’accaduto», scrivono gli avvocati Elena Coccia e Danilo Risi che hanno presentato l’esposto.

La richiesta parte dal presupposto che la Libia non può considerarsi «porto sicuro» anche se il governo italiano sostiene il contrario. A supporto, chi ha presentato l’esposto cita la recente ordinanza del gup di Ragusa che ha disposto il dissequestro della nave Open Arms: «Non può essere considerato sicuro un luogo dove vi sia serio rischio che la persona possa essere soggetta alla pena di morte, a tortura, persecuzioni o a sanzioni o trattamenti inumani degradanti o dove la sua vita e la sua libertà siano minacciate per motivi di razza, religione, nazionalità, orientamento sessuale, appartenenza a un determinato gruppo sociale o orientamento politico».

La richiesta ai magistrati di chi ha presentato ieri l’esposto è adesso quella di valutare i possibili reati di violazione dell’obbligo di soccorso in mare e violazione della libertà delle persone ricondotte contro la loro volontà in Libia. L’ipotesi di respingimento collettivo vietato dalla convenzione europea per i diritti umani deve essere valutata dalla Corte di Strasburgo. Che ha già condannato l’Italia nel 2012 per un episodio simile del 2009 (governo Berlusconi). Ma allora a fare ricorso alla Corte Edu erano stati direttamente i profughi respinti, che in questo caso non sono stati (ancora) identificati.