Per decenni gli scienziati hanno sostenuto che la principale novità verificatasi nell’organismo che poi abbiamo chiamato umano sia stata la crescita del cervello. E invece non era vero: il salto qualitativo dei nostri antenati si è verificato dall’altro capo del corpo: nei piedi. Fu la formidabile invenzione della postura bipede.

Non ci avevo mai pensato e questa rivelazione, letta nel libretto appena uscito Libertà di migrare (Einaudi, pp. 130, euro 12), scritto da Valerio Calzolaio ( uno dei fondatori de il manifesto delle Marche, poi anche sottosegretario all’Ambiente in un governo Prodi, e autore, già nel 2010, di Ecoprofughi) con Telmo Pievani (docente di filosofia delle scienze biologiche e autore di numerosi volumi su questi temi), mi ha molto colpito.
In effetti, fu proprio l’uso più funzionale degli arti che consentì quasi tutto quello che poi gli umani hanno fatto. Senza questo supporto, anche il cervello, privo di stimoli, non si sarebbe sviluppato. Spingendolo a far ginnastica nel riflettere sulla scoperta del mondo che andavano facendo, esplorato per curiosità o per cercare condizioni più favorevoli di vita o, peggio, per sfuggire alla morte indotta dalle catastrofi naturali. Insomma: all’origine dell’umano c’è proprio la migrazione, la prima avventura cui i nostri antenati si sono dedicati. E noi siamo tutti figli di emigranti, per di più africani (la Terra come si sa si è popolata a partire da lì) e però provvisoriamente transitati per un’altra area cruciale, il Medio Oriente (questo volumetto lo consiglierei innanzitutto a Salvini, perché se ne facesse una ragione).

L’accadimento è molto antico, come prova quella che viene considerata la prima orma umana, impressa nel tufo creato dalla pioggia mischiata alle ceneri uscite da un vulcano in ebollizione in Tanzania. Si deve trattare all’incirca di due milioni di anni fa; e da allora la grande migrazione «out of Africa» ha popolato tutti i continenti, salvo l’Antartide, via via mischiando, differenziando, reciprocamente influenzando gli individui.
All’inizio, e a lungo, la migrazione – documentano gli autori – è stata tutta generata dai mutamenti ambientali. E così è in definitiva anche oggi e sarà sempre di più domani. Anche se da quando, con la prima agricoltura, venne al mondo «il terribile diritto di proprietà», cominciarono i conflitti, poi via via le guerre grandi, come quelle dei nostri giorni, e con loro si produsse un nuovo tipo di migrante, il rifugiato politico (un dato impressionante come metro della salute della democrazia contemporanea: questa categoria dal 1970 è triplicata!).

All’ «out of Africa» delle origini si è aggiunta, nell’epoca moderna, l’«out of Europe», cui dà un corposo impulso il colonialismo, che, al seguito degli eserciti conquistatori manda i suoi milioni di pieds noir. Un crescendo spaventoso, perchè l’occupazione del mondo si estende a dismisura: nel 1800 gli Stati nazionali guerrieri occupano il 35% delle terre, all’apogeo imperialista,nel 1914, si è arrivati all’81,4.

Le narrazioni sui migranti andrebbero intrecciate con quelle sui confini, con l’invenzione delle frontiere lungo cui si ergono muri, perché legittimano o delegittimano quello che è stato da sempre il movimento naturale degli umani (consiglio di leggere, in abbinata, il volume appena uscito che Sandro Mezzadra ha dedicato all’argomento, Terra e confini edito da manifestolibri). Il fatto è che a differenza di altre categorie di odierni migranti quelli cosiddetti «ambientali» (vittime di eventi climatici o geofisici, quelli per catastrofi nucleari non sono nemmeno nominati) non hanno alcuno status legale. Nonostante esista un’Agenzia dell’Onu che si occupa del problema, la Unep, e nonostante proprio l’Onu abbia pubblicato, già nel 1985, il primo essenziale saggio sui rifugiati ambientali, scritto dell’egiziano Essam El Airmarwi. E nonostante la Dichiarazione sui diritti umani del 1948 reciti con grande chiarezza che deve esserci libertà di partire e diritto a restare per chiunque, ovunque.

A ricordare che i rifugiati climatici non hanno riconoscimento è stato papa Francesco: al paragrafo 25 dell’enciclica Laudato Si’. Poiché le previsioni ci dicono che nel giro di qualche decennio saranno 40 milioni gli abitanti delle città costiere minacciati di essere sommersi, e 700mila coloro che, sui 2,4 miliardi insidiati dalla desertificazione, costretti ad andarsene subito dalle loro terre, sarà bene cominciare ad occuparcene seriamente. Questo libro aiuta a capire.