Le date sono state posticipate, 12-18 luglio, rispetto al solito per evitare (con intelligenza) la sovrapposizione agli Europei di calcio, Marsiglia è città tifosa e appassionata (ieri già gli scontri tra hooligans inglesi e polizia francese), il rischio di penalizzare il festival era alto. Parliamo del Fid Marseille, l’appuntamento dell’estate festivaliera più atteso da cinefili, programmatori, autori naturalmente, e da tutti quegli appassionati che vogliono scoprire tendenze del cinema meno scontato: documentario, come suggerisce la definizione di «Festival internazionale documentario» – ma risolutamente fuori formato, visto che qui la dipendenza dai generi – e la loro suddivisione più arretrata persino delle unioni civili – è stata da tempo superata, a differenza di quanto accade nei festival maggiori, vedi Cannes. Jean-Pierre Rehm, il direttore artistico, ha costruito negli anni e con la complicità del suo gruppo di lavoro, un festival aperto, libero, con un’impronta teorica forte che gli permette al tempo stesso una differenziazione.

A cominciare dalla retrospettiva del 2016, il compleanno dei 27 anni, che è dedicata al cineasta sudcoreano Hong Sang-soo, molto noto oltralpe dove, a differenza che da noi, quasi tutti i suoi film sono usciti in sala, e tra i registi che hanno segnato l’immaginario contemporaneo. Scorsese lo ha definito «uno tra i cineasti del presente più ispirati», molto attivo – 17 film in vent’anni – cinefilo raffinato e «nouvelle vague» , con le sue storie d’amore ha inventato universi, personaggi, messo in scena il possibile dell’esistenza nelle infinite variazioni. È «documentario» il cinema di Hong Sang-soo? No, se del «documentario» si prende una definizione «canonica» – raccontare il «vero» – cosa sarà i poi è tutto da vedere. Eppure nelle sue esplorazioni del racconto, Hong Sang-soo dà vita ai luoghi, le piccole città nelle quali si muovono i personaggi, all’incontro tra femminile e maschile e rende il vissuto cinema. Se poi sia doc o finzione poco importa. La retrospettiva permetterà di rivedere i suoi film tutti insieme, dal primo Il giorno in cui il maiale è caduto nel pozzo che lo ha fatto scoprire vent’anni fa (1996) con incontri e presentazioni.

Tre i concorsi del Fid internazionale, francese e opere prime i scelti tra i quasi tremila arrivati. In nessuno dei tre ci sono film italiani ma non è una novità: è infatti piuttosto raro che i filmmaker italiani approdino qui. Quindici i titoli nella competizione internazionale, con qualche regista vicino al Fid come il regista libanese Ghassan Salhab con Chinese Ink o il cineasta e artista israeliano Roee Rosen con The Dust Channel.
C’è poi il nuovo film dell’infaticabile Boris Lehman, Funérailles (de l’art de mourir), autore belga con filmografia infinita tra super 8, 16 millimetri ecc, di cui è spesso il «corpo» privilegiato in un diario intimo che diviene materia di sperimentazione.Dall’America arrivano A Model Family in a Model Home di Zoe Beloff e Empathy di Jeffrey Dunn Rovinelli, mentre è una coproduzione Portogallo-Bosnia How I Fell In Love with Eva Ras di André Gil Mata.

Tra i film francesi (dieci titoli come quelli nelle opere prime) troviamo Jumbo/Toto, Histoires d’un éléphant di Noelle Pujol in cui la regista ricerca le tracce di un elefante africano che ha una doppia identità: Jumbo e Toto. Tra Germania, Italia e Francia, ripercorre le ambizioni del sogno coloniale, che nel 1910 fanno di Jumbo per i tedeschi un simbolo, e a Roma, il fascismo lo trasforma in Toto.

Il Fid è anche il FidLab, la piattaforma di coproduzione internazionale che quest’anno ha selezionato 11 progetti con l’obiettivo di costruire possibili sinergie produttive. E poi le sezioni «parallele», tutte a tema, con molte prime mondiali, tra «Storia dei ritratti» e «Ventriloqui» sul rapporto tra arte e cinema e viceversa, il FidCampus, dedicato ai giovanissimi cineasti del mediterraneo.
Info: www.fidmarseille.org