Più che un atto giuridico un manifesto politico. Il giudizio che gli esperti danno della direttiva firmata la scorsa notte dal ministro degli Interni Matteo Salvini per impedire l’approdo nei porti italiani delle navi con i migranti, non potrebbe essere più netto. «Si dà una lettura parziale della normativa internazionale e per di più di difficile se non impossibile applicazione», spiega ad esempio l’avvocato Salvatore Fachile dell’Asgi, l’Associazione studi giuridici sull’immigrazione.
Una circolare con la quale il Viminale sembra per lo più voler esercitare una pressione su chi, poi, sul territorio dovrà assumersi la responsabilità di gestire emergenze come quella in corso attualmente a Lampedusa con la nave Mare Jonio. «Si sta riproponendo una situazione analoga a quando il ministro inviò una circolare alle commissioni territoriali chiedendo maggiore severità nel riconoscere la protezione umanitaria pur non avendo alcun potere per farlo. Per di più per quanto riguarda la Mare Jonio va detto che la direttiva è arrivata a tempo scaduto, quando la nave si trovava già in acque territoriali italiane», prosegue Fachile.
Nel mirino del ministro leghista ci sono le navi private, soprattutto straniere, che come successo in passato hanno svolto operazioni di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo «Si è riscontrato – è spiegato nella direttiva – che la nave soccorritrice nonostante avesse effettuato il soccorso in acque non di responsabilità italiane e l’evento non fosse stato coordinato dalle Autorità italiane, abbia richiesto un place of safety a quest’ultime». Un comportamento ritenuto non corretto dal Viminale, per il quale le coste italiane non risultano «essere gli unici, possibili luoghi di approdo in caso di eventi di soccorso, considerato che sia i porti libici, tunisini e maltesi possono offrire adeguata assistenza logistica e sanitaria, essendo peraltro più vicini in termini di miglia marine, laddove la sicurezza della navigazione imporrebbe – in linea di principio – la ricerca di un luogo di sbarco prossimo alle coordinate marine d’intervento».
Il ragionamento del Viminale si gioca tutto sul riconoscimento dell’ area Sar (ricerca e salvataggio) della Libia e quindi il diritto-dovere di Tripoli di intervenire nelle operazioni di salvataggio assumendone il coordinamemto e riportando i migranti indietro. Cosa contestata a livello internazionale visto che sia l’Onu che la stessa Unione europea hanno più volte negato che la Libia possa essere considerato un porto sicuro per i migranti. Concetto ribadito anche ieri dall’inviato speciale dell’Unhcr, Vincent Cochetel: «L’italia di Salvini stabilisce la legge per le navi di salvataggio dei migranti. Ma la legge marittima è chiara. La Libia non è un luogo di sicurezza. L’Italia e altri Paesi del Mediterraneo sono luoghi di sicurezza», ha scritto Cochetel in un tweet.
Sulla stessa linea anche il prefetto Mario Morcone, che dopo aver trascorso anni occupandosi di immigrazione a capo del Dipartimento Libertà civili e immigrazione del Viminale oggi è direttore del Cir il Consiglio italiano per i rifugiati. Quella di Salvini «è una circolare che esercita un astratto e un po’ ipocrita formalismo nell’analisi delle norme», spiega Morcone. «Accetta il presupposto che i porti libici possano essere considerati sicuri e che l’attracco presso i porti tunisini e maltesi sia possibile. E’ una direttiva che non prende in alcuna considerazione il drammatico contesto reale».
Di «provvedimento anomalo, chiaramente illegittimo e viziato di abuso di potere» parla invece Vittorio Alessandro, contrammiraglio della Guardia costiera oggi in pensione, per il quale la direttiva Salvini viola la convenzione dell’Onu sui diritti del mare (Unclos) approvata a Montego Bay nel 1982 e ratificata dall’Italia nel 1994. Critiche, infine, anche da Magistratura democratica, per la quale la direttiva non può avere valore retroattivo e quindi non può essere applicata alla nave di Mediterranea. «Desta sorpresa e preoccupazione, dopo le indicazione dell’Onu e della Corte internazionale – spiega il presidente di Md Riccardo De Vito – vedere nella direttiva indicata la Libia come porto sicuro. Ci sono a bordo 49 persone che rischiano la vita o di essere sottoposte a torture o trattamenti disumani».