Sono ormai 3 anni che 4 mila lavoratrici e lavoratori del settore della scuola sono in attesa di poter andare in pensione, costretti – pur avendo maturato i requisiti per il trattamento previdenziale – a continuare a lavorare in virtù di una applicazione ingiusta della riforma Fornero. Secondo tale riforma poteva andare in pensione con le vecchie regolechi avesse maturato i requisiti entro il 31 dicembre del 2011. I lavoratori della scuola, però, possono andare in pensione un solo giorno all’anno, il 1°settembre (per garantire la continuità dell’anno scolastico), e così più di 4mila sono stati trattenuti indebitamente a lavoro nonostante il diritto di andarci l’avessero già maturato nell’anno scolastico 2011-2012, in base alla disposizioni vigenti. E, così, si sono trovati a dover lavorare dai 3 ai 7 anni in più e in condizioni difficilissime: si pensi a maestre di 63-64 anni, con una carriera lavorativa lunghissima e faticosa alle spalle, alle prese con bambini di 6-7 anni. Eppure sarebbe un primo esempio di quella «staffetta generazionale» auspicata dalla ministra Madia: potrebbero entrare nel mondo della scuola 4mila nuovi lavoratori, magari giovani, al posto di chi ha il diritto di andare in pensione.

I partiti in Parlamento hanno riconosciuto la necessità di sanare l’errore della riforma Fornero. Eppure in questi mesi il Parlamento non è riuscito a trovare nessuna via d’uscita a causa dei rinvii del governo, che si è opposto sin qui ad ogni soluzione. Prima, le proposte di legge abbinate 249/1186 – che individuano una soluzione al problema – stato sono stati affossati dal governo che ha dato parere negativo sulle coperture finanziarie individuate, rifiutandosi di trovarne delle alternative. Poi, nel mese di marzo, una risoluzione comune delle Commissioni lavoro e bilancio della Camera dei deputati che impegnava il Governo a trovare una soluzione contestualmente alla presentazione del Def è rimasta senza risposta.

Lo stesso impegno, nel mese di aprile, è stato chiesto nella risoluzione che ha accompagnato l’approvazione del Def in Parlamento, ma anche questa fino ad oggi non ha avuto alcun riscontro. Lo scorso 7 maggio si è riunito per la prima volta un «tavolo interistituzionale» al quale hanno partecipato il ministro del lavoro Poletti, i rappresentanti del ministero dell’economia, dell’Inps, della Ragioneria dello Stato, delle Commissioni lavoro di Camera e Senato. Il «tavolo» ha toccato le problematiche più urgenti poste dalla riforma Fornero (esodati, macchinisti treni, quota 96, ecc.) ma tutto si è concluso con un nulla di fatto: i lavori sono stati aggiornati dal ministro Poletti a data da destinarsi.
Sel – con un documento firmato anche dai capigruppo delle Commissioni cultura e lavoro, Giordano e Airaudo – ha denunciato l’atteggiamento attendista e dilatorio del governo e della sua maggioranza sui problemi delle lavoratrici e dei lavoratori della cosiddetta «quota 96».

Fino ad oggi il governo si è rifiutato di trovare le risorse necessarie (comunque limitate: 35 milioni per il 2015, in tutto 400 milioni per i prossimi anni) per dare soluzione a questo problema. Forse ha paura che risolvendo il problema di «quota 96» poi si debbano affrontare concretamente tutti gli altri aspetti irrisolti della «manovra» Fornero.