Ci sono quelli che se la tirano a mille, quelli che se la tirano un po’ e quelli che non se la tirano per nulla, anzi si nascondono proprio. Esmé Sciaroni, capo truccatrice di cinema o make-up designer, per dirla all’inglese, appartiene alla terza categoria. È fra i ventidue professionisti del cinema italiano, e l’unica truccatrice, che nel luglio scorso sono diventati membri permanenti dell’Academy of Motion Picture Arts and Sciences e, quindi, fra coloro che hanno votato per assegnare i recenti Oscar in due votazioni, la prima per la propria categoria, la seconda per tutte.
Il faro che ha attirato su Sciaroni l’attenzione dell’Academy è, secondo lei, «Il lavoro fatto insieme a Saverio Costanzo nelle prime due stagioni della serie L’amica geniale. Nella prima riunione via zoom con i responsabili dell’Academy ci dovevamo presentare e alcuni di noi si sono detti molto stupiti di quella nomina. Lois Burwell ci ha risposto: ’Siete stati scelti beacause your work shines on the screen’. Mi ha molto colpito la serietà con la quale discutono, per ore e ore, sulle ragioni delle singole scelte e chiedendo continuamente se un certo lavoro può entrare in cinquina»

MINUTA, di carattere pepato, nata a Biasca (Canton Ticino), figlia di ristoratori, l’idea di fare questa professione le è arrivata per caso, ma c’era una sorta di predestinazione segnata da un grande amore, il cinema. «Ho sempre amato la fotografia e avrei voluto iscrivermi a una scuola d’arte, ma non c’era più posto, così ho fatto l’apprendistato da un’estetista e nel tempo libero andavo con un amico a vedere tutte le rassegne nei cineclub, che in Ticino sono molto attivi. A quindici anni avevo già visto tutto Bergman e Tarkovskij, e poi non perdevo un’edizione del festival del cinema di Locarno. Sapevo che non avrei fatto l’estetista per tutta la vita così, quando mi hanno parlato di una scuola per truccatori a Parigi, ho chiesto una borsa di studio, l’ho ottenuta, e sono partita. A parte il fatto che Parigi è la più grande sala cinematografica del mondo perché puoi andare al cinema a ogni ora del giorno a vedere ogni tipo di film, è lì che è avvenuto lo svelamento. Era un piccolo film per la scuola, si girava di notte, in dicembre, sul tetto di tour Montparnasse e grandinava, si gelava, eppure…Mi piacque da pazzi. Mi sono innamorata di questo mestiere, ma soprattutto della magia che si crea attorno a un film che è un lavoro di insieme, di un gruppo di persone che fanno qualcosa in cui credono. Io devo amare il film che faccio. Per questo prima di accettare un incarico voglio sempre leggere la sceneggiatura, parlare con il regista. Sono iniziate così tutte le mie collaborazioni importanti».

Nel curriculum di Esmé Sciaroni ci sono Alain Resnais, Marco Bellocchio, Leos Carax, Paolo Virzì, Alessandro D’Alatri, Daniele Ciprì, Giorgio Diritti, Villi Hermann e poi nomi che tornano con regolarità come Gianni Amelio, Silvio Soldini, Saverio Costanzo. Nati come rapporti di lavoro, sono diventate amicizie saldate da una comune visione sul cinema, perché truccare non significa solo applicare dei prodotti, ma condividere un’idea sui personaggi, l’atmosfera, la storia, le luci, le inquadrature.

«QUANDO ho incontrato Gianni Amelio, lui cercava una troupe leggera per Il ladro di bambini e, mi disse, ’Un trucco che non si veda’. Adesso tutti lo fanno, ma allora, nel 1990, non era comune, al cinema si usavano ancora prodotti da teatro, basi pesanti mentre io a Parigi avevo imparato ad adoperare anche fondotinta normali che davano un effetto più naturale. Mi è sempre piaciuto il trucco che non si nota, non ho mai amato l’artificio. Oggi, con le nuove tecniche di ripresa, l’industria della cosmetica per lo spettacolo si è molto evoluta, le marche professionali sono vendute anche al pubblico, ma allora era una novità assoluta. In Il ladro di bambini si doveva dare l’idea della stanchezza, della notte passata in treno, bisognava far vedere che anche le mani, le unghie, i capelli erano segnati da quel viaggio. La verità è che io non sono appassionata di trucchi, ma di cinema e con Amelio è stato entusiasmante perché lui è stato molto presente nel mio lavoro e io mi sono sentita vicino alla regia. Mi diceva: ’Guarda in macchina, dimmi se si vede che le lacrime sono finte’. Siamo diventati amici e fuori dal set giocavamo. Uno dei due raccontava il pezzo di una scena e l’altro doveva indovinare che film era. Vinceva sempre lui, ma gli tenevo testa. Quando ho dovuto dirgli di no per Le chiavi di casa, si è molto arrabbiato».


QUEL NO, insieme ad altri detti a Virzì e Resnais, nascono da una scelta di vita dettata in parte da un desiderio e in parte da una legge italiana che per un certo periodo ha reso molto difficile per i cittadini extracomunitari, e gli svizzeri per noi lo sono, lavorare in Italia. Non bastava il curriculum, non bastava essere chiamati, serviva un contratto e il contratto te lo facevano se eri residente. Un cane che si morte la coda.
«Il lavoro era poco, io avevo voglia di riprendere gli studi e così mi sono iscritta alla facoltà di architettura di Mario Botta, a Mendrisio, dove mi sono laureata. Sono stati sei anni faticosi, durante i quali ho fatto pochi film, fra cui Pane e tulipani, e con molti salti mortali, ma entusiasmanti e dove ho avuto maestri eccezionali come Peter Zumthor».

Scegliere. Scegliere che film fare e con che regista lavorare, scegliere perché intuisci che lì potrai imparare e costruire qualcosa, scegliere una linea estetica che poi è anche di sostanza. È così che avvengono gli incontri e quello con Saverio Costanzo è uno di questi.
«La nostra prima collaborazione è iniziata nel 2013, con Intreatment che, essendo interpretato da Sergio Castellitto con cui ho molto lavorato, è stato quasi come lavorare in famiglia. Di Costanzo avevo visto Private e La solitudine dei numeri primi che mi erano molto piaciuti. Con lui e su L’amica geniale ho potuto fare un lavoro in continua evoluzione, raffinato e di ricerca storica su costumi e trucco. Il problema del moderno quando si fanno film in costume è che le facce e i corpi di oggi sono cambiati. Prendiamo le sopracciglia. Negli anni Cinquanta non erano definite come adesso, ma le comparse, proprio tutte, uomini e donne, arrivavano sul set depilatissime. Abbiamo dovuto ricostruire pelo per pelo le sopracciglia di decine di persone, e poi seguire l’evoluzione estetica delle due protagoniste che da ragazzine diventano donne tenendo conto dello stile e del gusto di allora, in quel contesto sociale».

IL TRUCCO nel cinema non è solo mettere un po’ di cipria, ma una continua ricerca. «Ogni film è uno studio, un dialogo con il direttore della fotografia e il regista per sapere che luci useranno perché basta un piccolo cambio per dare effetti completamente diversi e, se noi truccatori non lo sappiamo per tempo, i risultati possono essere disastrosi».
Il prossimo lavoro di Sciaroni, che ha appena terminato di girare i primi quattro episodi della terza serie de L’amica geniale diretti da Daniele Luchetti, sarà di nuovo con Gianni Amelio. «Ma non ne dirò una parola». Ve l’avevo detto, è una che scappa. Tranne sul set.