Su Tong, grande scrittore di racconti che hanno come protagonisti donne e ragazzini, può essere gustato nella sua miglior vena nella raccolta L’epoca dei tatuaggi (Orientalia, traduzione e cura di Maria Rita Masci, pp. 152, euro 14): storie tutte ambientate nella stessa strada, la via Xiangchunshu, negli anni Settanta del Novecento, quelli dell’infanzia e dell’adolescenza dell’autore, nato a Suzhou nel 1963.

LA STRADA È LA STESSA in cui si svolge la storia delle due sorelle nubili della bottega di soia di Altre vite di donne (Einaudi 2008): un microcosmo di intrecci di vita di cinesi ordinari che Su Tong ci sa rendere in tono empatico, rievocando l’ambiente in cui è cresciuto, ragazzino negli ultimi anni della Rivoluzione culturale. Scritti in terza persona ma sempre con l’autore come testimone partecipe, che interviene negli snodi inscenando e commentando di volta in volta i fatti salienti.

La fama di Su Tong a livello globale si è affermata con Mogli e concubine, alimentata dal successo di Lanterne rosse di Zhang Yimou: ambientando la vicenda nella vecchia Cina, Su Tong sembrava potersi concedere il lusso della descrizione di personaggi non stereotipati: non più eroi ed eroine del socialismo, ma individui narrati con tratti intimistici.
Pubblicato in Italia da Theoria nel 1992, a cura di Maria Rita Masci, si inserisce in una serie di opere che vengono incontro a un rinnovato interesse per la Cina, dopo la tragedia di Tiananmen. Ottima la scelta di Orientalia di riproporlo e di aprire a una migliore conoscenza dell’autore offrendoci anche inediti come questi, scritti negli anni Ottanta.

I RACCONTI DELLA RACCOLTA sono scritti dopo la fioritura della «letteratura delle ferite e delle cicatrici», che rievoca i «dieci terribili anni» della Rivoluzione culturale. Su Tong ha vissuto da ragazzino la coda di quegli anni e preferisce rifugiarsi in altre epoche, o in racconti fantastici, attingendo alla mitologia, alle storie di spiriti e di magia. Anche l’età della pubertà è una sorta di spazio altro, un limbo tra infanzia e adolescenza, in cui si scopre la sessualità e si scatenano i sentimenti più contraddittori.
Le bande di adolescenti che si combattono ferocemente nel quartiere di periferia, tra una fabbrica chimica, un cementificio e un fiume inquinato e puzzolente, stanno forse imitando i fratelli maggiori dell’epoca d’oro della Rivoluzione culturale, che si erano dati nomi altisonanti di Reggimenti e Generali dell’epopea dell’Esercito popolare di Liberazione. Ormai abbiamo la banda dei Cinghiali o quella dei Lupi bianchi, e bandiere fabbricate con gli stracci: i tatuaggi sono artigianali, o autoinflitti, provocando piaghe e infezioni.

UNA VOLTA C’ERANO i «piccoli generali» come Kuai Dafu, a capo del Quartier generale del Reggimento Jinggangshan (una delle prime basi rosse), che si batté a morte con la fazione rivale all’università di Qinghua nell’estate del 1968. Adesso, tra il 1974 e il 1975, abbiamo capetti di bande di ragazzini, bulletti che perseguitano i più sfigati, uno dei quali finisce per farsi una banda in proprio, pur di avere un’appartenenza.
Nelle dinamiche degli anni Settanta ci sono echi delle sanguinose battaglie tra Guardie Rosse (a Chongqing un intero cimitero a loro dedicato) di qualche anno prima? Nel rievocare l’infanzia, come accade ad altri autori della sua generazione, Su Tong coglie l’atmosfera cruda in cui si cresceva in quegli anni, nella quale anche i regolamenti di conti tra adulti e le relazioni familiari erano improntate a rozzezza e animosità reciproca. La via Xiangchunshu non è una comunità idillica e solidale: il sospetto, l’invidia e la delazione avvelenano le esistenze, e la ferocia dei ragazzini è una pallida eco di quella degli adulti.

I bambini crescono in una società repressa, in cui l’adulterio scatena curiosità morbose, maldicenze e denunce, in cui i sentimenti individuali sono compressi da regole e direttive che stigmatizzano ogni cedimento alla pietas, in cui vige la pena di morte applicata con facilità ai controrivoluzionari e ai criminali comuni, in cui la rieducazione in campi di lavoro è esperienza diffusa. Si è abituati ad assistere ad esecuzioni e processi pubblici e all’esibizione di pretesi colpevoli trascinati per le strade per essere irrisi. I genitori sono poveri diavoli, manovali, piccoli commercianti, operai che sopravvivono a stento e non hanno tempo da perdere coi figli. Risse, coltellate, stupri e suicidi sembrano far parte del quotidiano. Le ragazzine se la passano peggio dei maschi, importunate, violentate e sfruttate.

LE UNICHE FIGURE che si distaccano da questo clima sordido e meschino sono il dottore e la vecchia nonna del racconto La scena del crimine. Il dottor Mo, «una brava persona, onesta e di buon cuore», si accorge che Qigong, un ragazzino, gli ha rubato siringhe di cui si serve per uccidere un gatto e per iniettare veleni a chi considera suo nemico. Indulgente, vorrebbe perdonarlo e salvarlo da castighi troppo duri, ma finisce per infuriarsi anche lui e punirlo severamente. Avere un cuore «mite e gentile» non gli giova comunque: si accenna alla sua morte, ma si preferisce non entrare in particolari, rimandando forse a un altro racconto: «Tutti ricordano come morì il dottore, ma nessuno se la sente di parlarne, dal loro punto di vista il silenzio è il modo migliore per commemorarlo».

L’anziana nonna di Qigong è un simbolo della vecchia generazione, forse più umana, ma immersa nella tradizione. C’è una vecchia nonna anche nel racconto di Su Tong Folle corsa, che Acheng aveva scelto per un’antologia degli scrittori cinesi contemporanei più significativi intitolata Strade celesti (Theoria 1994): la nonna paterna, per cui viene fabbricata la bara che terrorizza il nipotino Yu, malaticcio, afflitto da terribili mal di testa. Sono nonne di cui si spia la morte imminente e che evocano fantasie e terrori infantili: il ciclo delle generazioni che si perpetua in una Cina che ha accelerato il passo: i ragazzini tentano di sfuggire alla morsa, facendo del male e facendosi del male.