C’è una lunga colonna di macchine in doppia fila davanti al Dopolavoro ferroviario di Ancona, una carovana immobile e silenziosa che si contrappone alle voci provenienti dall’interno. Il ristorante ospita la cena a sostegno del manifesto organizzata dal circolo culturale cittadino Laboratorio sociale e un folto gruppo di persone ha risposto alla chiamata, organizzata da un veterano del Manifesto di Ancona, Daniele Dubini.

All’entrata il cameriere sorride e indica la porta senza dire una parola. La stanza, calda e affollata, accoglie quasi un centinaio di persone: un’umanità che, come canterebbe Bob Dylan, ha trovato ‘riparo dalla tempesta’ attraverso questo esercizio di collettività. Un modo per riconoscersi e confrontarsi, coltivando la ginnastica del dialogo. Ci sono nuovi e vecchi lettori, compagni e compagne, ma anche semplici appassionati “perché il pluralismo è importante e il manifesto è una voce libera e spesso unica nelle sue posizioni”.

In piedi, dietro al tavolo, l’introduzione (tosta) alla serata è la politica estera, connaturata per una Ancona storicamente internazionalista: al centro il conflitto libico, le tensioni Iran-Usa, il ruolo dell’Europa. Ma prima Massimo Raffaeli, collaboratore culturale del giornale, ricorda che “ci troviamo ancora di fronte ad un luogo unico da difendere: quello della non semplificazione, della complessità e dell’ironia”. La stanza è piena ma nessuno sembra preoccuparsene: a ogni nuovo arrivo, la folla si stringe e libera uno spazio in più. Una onda umana che accoglie con il sorriso ogni nuova goccia. Aggiungi un posto a tavola.

Per alcuni sulla politica nazionale il giornale rischia limitandosi “ad articoli tutto ‘pastoni’ e retroscena”, per altri il punto è che “avete smesso di fare le pulci al governo giallorosso”. Ma arrivano rassicurazione: il manifesto non ha perso il suo occhio critico. L’atmosfera è collettiva, da riunione di redazione: il microfono passa di mano in mano e tutti esprimono la propria opinione sul giornale che leggono e sostengono. Ad altri il manifesto va bene così com’è e anche se fosse capace “solo di raccontare il vuoto che c’è”. Ogni volta che la discussione sembra essere ai titoli di coda qualcuno si alza per aggiungere qualcosa. Dopo una lunga serie di domande, un uomo chiede che “il giornale torni a offrire soluzioni e proposte politiche per la sinistra”; chi ha introdotto insiste: “La risposta bella e pronta non c’è, ma dalla sinistra/sinistra, pure impegnata nella realtà ma frantumata, non c’è la consapevolezza di una proposta complessiva all’altezza della crisi”.

Poi arriva il momento della cena dove, tra un piatto di pesce e un bicchiere di vino bianco rifà capolino la politica. A gruppi di quattro, cinque persone, ogni blocco del tavolo si anima su una discussione diversa: l’inammissibilità del referendum leghista sul maggioritario, la crisi del giornalismo, le elezioni emiliano-romagnole alle quali siamo appesi. In tanti si presentano e scambiano opinioni, riattivando riti sociali di confronto in estinzione nell’età dell’eterna connessione individuale.

Chi è originario di Foggia ma da tanti anni di stanza ad Ancona e parla con i vicini di posto; mentre una coppia ha viaggiato da Macerata e oltre per essere qui stasera; Un esponente di No Prison trova nel manifesto un vero punto di riferimento. Accanto un pensionato tiene in bocca un pezzo di cartoncino arrotolato a mo’ di cicca, ma è spenta. “Ho smesso e questo mi aiuta per la gestualità e l’abitudine – mi spiega infilandosi il cappotto poco prima di uscire – era un vizio di cui mi dovevo liberare. Fumavo due pacchetti al giorno da 40 anni, poi ho smesso. L’ultima abitudine che mantengo ormai è il manifesto”. Un vizio, a giudicare dall’abbraccio di Ancona, ancora coltivato da molti. Essere occasione di incontro inimmaginabile e dare in una serata centinaia di abbracci non è poco. Oltre al risultato di un sostegno concreto per circa 4mila euro, l’equivalente di quasi 26 abbonamenti.