La Commissione Europea ha sottolineato che la legge di stabilità per il 2014 del governo italiano non assicura le regole del Patto di Stabilità e Crescita. Il ministero del Tesoro si è affrettato a rassicurare la Commissione, in particolare sulla riduzione del rapporto debito-Pil. Probabilmente un atto dovuto e un’autodifesa necessaria della legge di stabilità che comincia a mostrare tutta la sua debolezza. Di particolare rilievo è la sottolineatura del ministero del Tesoro relativa alla crescita del Pil: tale valutazione discende da una stima di crescita del prodotto che, come è noto, non coincide con quella del governo italiano e, prestate attenzione al passaggio, comporta implicazioni per le proiezioni di finanza pubblica.

Quindi, la differente stima di crescita del Pil, cioè la capacità di produrre beni e servizi, è la base di riferimento del quadro generale della finanza pubblica. Un aspetto noto a tutti gli economisti, ma da anni dimenticato proprio da chi governa il paese. Ma le politiche adottate per la crescita economica delineate dal governo sono riconducibili a due misure, fin troppo propagandate. La prima si riferisce ai 50 miliardi di euro destinati al pagamento dei debiti commerciali delle pubbliche amministrazioni tra il 2013 e il 2014. Se da un lato sono giustamente pagati i debiti della pubblica amministrazione relativi a beni e servizi acquistati da privati, che sono reddito per queste ultime, non bisogna mai dimenticare che la retrocessione di questi debiti fa capo a beni e servizi già prodotti; quindi non aumentano il Pil. Attribuire a questa misura un aumento della domanda di pari valore, con relative entrate tributarie, è un esercizio molto prossimo alla magia di Merlino. Insisto: queste risorse pagano beni e servizi già realizzati. Tecnicamente non possono produrre maggiore reddito.

La seconda misura propagandata è relativa alla crescita degli investimenti della pubblica amministrazione. Dopo anni di contrazione della stessa è un buon segnale, ma rimane un rimbalzo tecnico, cioè se non venivano stanziate queste risorse si correva il serio rischio di pagare delle penali. Ma non è l’aspetto dirimente. Infatti, quasi tutti gli investimenti inseriti nella legge di stabilità producono al massimo rendita. Nessuno degli investimenti indicati attiene alla produzione di beni e servizi aggiuntivi. Il governo potrebbe anche sostenere che sono stati incrementati gli incentivi agli investimenti privati, ma come ci ricorda Keynes… non potete aspettarvi dei nuovi piani di investimento da parte delle imprese in momenti di contrazione della domanda e delle aspettative. Alla fine queste risorse potrebbero persino trasformarsi in elusione fiscale o risparmio pubblico.

La difesa del ministro del Tesoro è centrata su: risparmi di spesa, privatizzazioni, riforma fiscale, rientro di capitali illecitamente detenuti all’estero.

Se prestate attenzione, osserverete che sono tutte entrate incerte in quanto non si fondano su presupposti d’imposta certi, ma su comportamenti «virtuosi» dei cittadini e delle imprese, così come sulla capacità del mercato di acquisire beni immobili e mobili pubblici per quasi 30 miliardi di euro. Forse la spending review potrebbe avere il segno del controllo della spesa pubblica, ma la base di riferimento è il costo standard. Utile per stabilizzare la spesa intorno a una media. Domanda: ma questa attività non dovrebbe essere normale per un governo? Sorprende che sia necessario pagare un commissario per fare un lavoro che la pubblica amministrazione e il ministro dovrebbero fare ogni giorno. In realtà la spending review sarebbe necessaria per controllare la formazione della spesa; dividerla tra spesa che produce reddito e spesa che produce rendita, avendo come riferimento «giuridico-contabile» il principio del progetto-programma a costo zero. Non solo sarebbe necessario controllare la formazione della spesa, ma servirebbe una attività faticosa di ricontrattazione di tutta la spesa pubblica verso i privati per progetti che, nel corso del tempo, hanno perso il valore simbolico ed economico. Una spesa notevole; c’è chi parla di quasi 100 miliardi di euro, ma aggredibile se si ragiona con gli altri paesi coinvolti e con le stesse imprese.

Il ministro Saccomanni sottolinea la solidità della finanza pubblica in ragione dei provvedimenti adottati. Sottolinea che la crescita del Pil è coerente con le misure adottate. Rimane il dubbio dell’enormità dell’avanzo primario. Un avanzo che potenzialmente riduce la domanda (Pil) tra i 3-4 punti di Pil, al netto del demoltiplicatore, che non oso calcolare.

Se la legge di stabilità avesse fatto delle scelte per la crescita economica, pur nella limitatezza delle risorse, le parole di Saccomanni sarebbero amare, ma comprensibili. Ma la legge di stabilità non sceglie nessuna linea. Scusate: ha scelto di privilegiare la rendita al posto del reddito.