Doveva essere un successo, come quella tenuta un anno fa e sapientemente propagandata. Un’esercitazione per dimostrare come le Ferrovie dello Stato fanno prevenzione e garantiscono la sicurezza dei loro dipendenti. Solo che questa volta – pur di zittire quei rompiscatole dei macchinisti che continuano a protestare contro l’introduzione dell’agente solo o unico – la simulazione di soccorso era troppo azzardata e gli esiti sono stati tragicomici.

Notte fra il 5 e il 6 ottobre scorso. Linea ferroviaria Pontremolese Parma-La Spezia, galleria del Borgallo tra le stazioni di Borgo Val Taro e Grondola. L’esercitazione ha come «scenario emergenziale ipotizzato» il malore di un macchinista unico con «impossibilità di proseguire la condotta del treno fino all’uscita della galleria»: insomma, un infarto. Un caso difficile ma molto più probabile di altri provati finora: la galleria misura 7 chilometri, mentre parecchie esercitazioni avvenute finora hanno ipotizzato scenari più semplici o un malore all’interno di una stazione o nelle vicinanze di un cancello che collega alla strada facilmente raggiungibile dai soccorsi.

L’esercitazione dell’anno scorso

IN PIÙ LE FS «LA SITUAZIONE se l’erano scelta bene»: il capotreno, che di solito è nelle carrozze con i viaggiatori, in questo caso era in cabina di locomotiva mentre un «treno soccorritore» era pronto nella vicina stazione – «ma quando mai succede» – per agganciare quello del macchinista colpito da infarto.

L’ANNO SCORSO NELLA NOTTE FRA il 22 e il 23 settembre la galleria scelta era la Serena, a 40 chilometri di distanza verso La Spezia in direzione contraria, tra Aulla e Santo Stefano di Magra. Il sito Fs news riporta ancora la notizia con dovizia di foto e moltissimi sono gli articoli sulla cronaca locale che magnificano le doti di tempestività dei soccorsi e il «successo pieno dell’esercitazione».
Questa volta invece le cose sono andate ben diversamente. Alle 0,25 il treno va in blocco a causa della mancata risposta del macchinista «svenuto» al famigerato pedale «uomo morto»: il dispositivo installato per togliere il secondo macchinista e fare in modo che quello alla guida da solo dimostri ogni 55 secondi di essere vigile.

Tralasciando le difficoltà di comunicazione, il capotreno che si accorge del malore del collega segue pedissequamente la procedura di sicurezza: lascia quindi la cabina e il macchinista «infartuato» per andare a posizionare la bandiera e la lampada biluce, bianca e rossa, di emergenza per rendere visibile al treno soccorritore la coda del convoglio, impiegando però ben 15 minuti in cui il collega rimane solo.

La catena delle incongruenze è però solo all’inizio: il treno soccorritore infatti arriva ma la manovra per agganciarsi all’altro risultava assai tribolata. Il cosiddetto «accoppiamento automatico» dei treni fallisce per ben due volte e al terzo tentativo riusce solo grazie al «supporto fisico dei vari attori in campo» – dipendenti Rfi presenti come osservatori. In più quando finalmente il treno si muove, dalla cabina teatro del malore scatta immediatamente la frenatura automatica dovuta al mancato azionamento del solito pedale a «uomo morto» collegato al Sistema di controllo della marcia treni (Scmt) e tocca allo stesso macchinista «in fin di vita» istruire il personale di soccorso per disinserirlo. Insomma, per percorrere i tre chilometri che dividono il treno dalla stazione di Borgotaro si è impiega un’ora dall’arrivo dei soccorsi. Trasportando la barella con l’infartuato a piedi in galleria, i soccorritori avrebbero impiegato di meno.

NON È FINITA. ARRIVATI IN STAZIONE si pensa che il più sia fatto. Non è così. Il treno arriva al binario 3 mentre l’ambulanza attende al binario 1. Anche la discesa dell’infartuato dalla cabina di guida è problematica: i soccorritori sono costretti a «optare per la discesa in via semi autonoma». Traduzione: la porta della cabina è così stretta e alta rispetto al binario che la barella non è usabile. Quindi «l’infartuato» è costretto ad alzarsi come il biblico Lazzaro e scendere dal treno. Colmo della disperazione: l’assenza di passerelle tra i binari porta gli ormai esausti soccorritori a decidere che il passaggio della barella sia troppo complesso e optare «per terminare in quel frangente l’esercitazione non raggiungendo nemmeno l’ambulanza».

IL TUTTO ACCADE ALLE 2 E 20. Considerando in 5 minuti il tempo che avrebbe impiegato l’ambulanza per arrivare all’Ospedale di Borgo Val di Taro, il tempo totale del soccorso sarebbe stato di ben 2 ore e 15 minuti. Un tempo per cui solo un miracolo avrebbe fatto arrivare in ospedale vivo il malcapitato macchinista infartuato.

«Ci sarebbe da ridere se non fosse tutto tremendamente serio – commentano i Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (Rls) dei macchinisti – alcuni colleghi sono morti in queste condizioni. Noi siamo contenti che l’azienda faccia questo tipo di esercitazioni ma possiamo affermare con cognizione di causa che ad oggi le condizioni per il pronto soccorso in linea si presentano sempre molto problematiche con tempi di intervento del 118 incompatibili con le necessità dell’urgenza».

Il tema del macchinista unico è infatti complesso e tutt’altro che superato. Un problema creato dal nulla quando Trenitalia e le altre imprese hanno deciso di ridurre l’equipaggio ad un solo macchinista: se si sente male il treno frena automaticamente ma la fermata può avvenire ovunque, con il 90% di probabilità di trovarsi in un punto della rete irraggiungibile dai soccorsi, gallerie, ponti, zone impervie, eccetera. Se come è probabile il malore è di natura cardiocircolatoria, i minuti diventano preziosi, questione di vita o di morte.

Il Testo Unico per il settore ferroviario impone di garantire il soccorso al personale nel più breve tempo possibile, in ogni tratto della linea. Proprio in virtù dell’impossibilità di garantire il pronto soccorso al macchinista unico, alcune Asl intervenute come Organi di vigilanza sulla sicurezza del lavoro hanno imposto a Trenitalia di risolvere il problema anche reinserendo il doppio macchinista sulle tratte per le quali le difficoltà di accesso ai binari mappate dalle imprese e dal gestore della rete, Rfi, determinano un ritardo di oltre 40 minuti per l’arrivo dei soccorsi.

Al momento queste contravvenzioni sono state notificate solo da alcune Asl, di Piemonte, Emilia e Marche, nonostante il tema sia praticamente identico su tutta la rete. «Come ferrovieri e macchinisti – dichiara Dante De Angelis, Rls di Trenitalia – non vogliamo subire discriminazioni sulla possibilità di essere soccorsi durante il lavoro ma vogliamo le stesse tutele previste dal Testo unico per tutti gli altri lavoratori. Per noi i 40 minuti, tempo peraltro stabilito arbitrariamente, non sono accettabili, così come non lo sono eventuali leggi o “interpretazioni” speciali fatte apposta per le ferrovie. Inoltre questi tempi sono fittizi e largamente aleatori, come dimostrato in tutte le simulazioni».

QUESTA VERTENZA dei macchinisti ha portato alla luce un’altra lacuna sul vuoto normativo riguardo il soccorso ai viaggiatori, denunciata dagli stessi Rls a tutte le istituzioni componenti del Comitato nazionale di indirizzo per la sicurezza previsto dallo stesso Testo Unico. «Se per noi come lavoratori esiste una normativa seppur insoddisfacente – prosegue De Angelis – per i viaggiatori non esiste alcuna legge che disciplini le modalità e l’equipaggiamento per il pronto soccorso a loro tutela. Mentre corriamo verso la stazione e l’ambulanza più vicina, si agisce con procedure aziendali, cercando un medico a bordo».