Punizioni per chi porta i capelli lunghi ma non per chi uccide a sangue freddo in pubblico. Sul governo di Hamas cade la dura accusa di Human Right Watch che giovedì ha denunciato il mancato svolgimento delle indagini che il movimento islamico aveva promesso dopo la brutale esecuzione nelle strade di Gaza City di sette presunti informatori di Israele, avvenuta lo scorso novembre. La denuncia di Hrw giunge mentre la polizia di Hamas si prepara a lanciare una campagna di arresti di sospetti collaborazionisti delle forze di occupazione, ai quali nei giorni scorsi era stata offerta la riabilitazione in cambio della resa. La denuncia di Hrw si riferisce ai giorni (14-21 novembre) della devastante offensiva aerea lanciata da Israele contro la Striscia di Gaza lo scorso anno.

Di fronte all’uccisione di leader e militanti del movimento e di decine e decine di civili (le vittime palestinesi furono almeno 170), le Brigate Ezzidin al Qassam, il braccio armato di Hamas, decisero di attuare una dura vendetta nei confronti di alcune presunte spie. Sei uomini sorpresi, dissero i miliziani, mentre «con radiotrasmitenti passavano informazioni a Israele», furono sommariamente giustiziati davanti a centinaia di persone. I loro corpi, attaccati a degli scooter, furono poi trascinati per centinaia di metri. Un ragazzo di 13 anni raccontò che le vittime erano state «fucilate una per una». L’accaduto provocò sdegno un po’ ovunque e l’allora numero due di Hamas, Musa Abu Marzuq, dal Cairo condannò quell’esecuzione sommaria, esortò la gente di Gaza a rispettare la legge e promise una indagine seria sull’accaduto. Indagine di cui non si è saputo più nulla, da qui la denuncia di Hrw. «L’impotenza o la mancanza di volontà di indagare sull’uccisione di quelle sette persone, ci dice che Hamas si fa beffe della sua promessa di far rispettare la legge a Gaza», ha protestato Sarah Leah Whitson, responsabile per l’area mediorientale. Hr w sostiene che Hamas non ha fatto nulla in questi mesi per arrestare i responsabili e processarli. Nei mesi scorsi il «Centro palestinese per i diritti umani» aveva denunciato che alcuni degli uccisi non erano stati sorpresi mentre trasmettevano informazioni a Israele bensì si trovavano da tempo in prigione.

Hamas rispose con l’annuncio di un’indagine approfondita che però non sarebbe mai cominciata. Ben più rapida, ancora una volta, è stata la «giustizia sommaria» della polizia di Hamas nei confronti di alcuni giovani «colpevoli» di portare i capelli lunghi. «Il 4 aprile aspettavo un taxi alla fermata di Sajaya (Gaza City), quando un agente mi chiama e mi ordina di salire a bordo di un veicolo della polizia. A bordo eravamo in dodici: nessuno di noi comprendeva le ragioni del fermo… Una volta giunti al commissariato di Sajaya ci hanno messi in fila, ci hanno schernito. Quando uno ha protestato, è stato colpito. Poi lo hanno rasato, quindi è toccato a me», ha raccontato un giovane palestinese rimasto anonimo per paura di ritorsioni. Prima di lasciare la stazione di polizia, il testimone è stato costretto a sottoscrivere un documento in cui si impegna: 1) a non farsi più crescere i capelli; 2) a non sfoggiare tagli «strani» ; 3) a non indossare mai pantaloni «a vita bassa». Anche in questo caso le proteste sono state immediate e i raid anti-capelloni sono cessati ma il segnale lanciato è stato chiarissimo.