I missili che ieri mattina hanno centrato le stanze di una madrasa nel distretto pachistano di Hangu, non hanno solo colpito un target in Pakistan. Quei missili sono caduti anche, indirettamente, sulla Loya Jirga convenuta a Kabul su richiesta di Karzai e che deve dire la sua sul controverso accordo politico-militare tra Usa e Afghanistan. La simmetria è politica (il rischio che ciò che si fa in Pakistan si possa fare domani anche in Afghanistan) e temporale: mentre i droni colpivano Hangu, una delegazione afghana di alto profilo aveva già fatto le valige per Islamabad con l’incarico di concordare con le autorità pachistane futuri incontri con i capi talebani da poco usciti dalle prigioni del Pakistan (tra cui c’è l’ex numero 2 della shura di Quetta mullah Baradar). Obiettivo: negoziare la tortuosa strada del processo di pace. Tra l’altro, tra le vittime dei droni c’erano proprio dei capi talebani afghani.
I missili lanciati dagli aerei senza pilota hanno colpito una madrasa vicino al villaggio di Tandharo dove i primi resoconti dicono che tra gli uccisi (almeno sei) ci sarebbero due elementi importanti del clan Haqqani: Abdul Rehman e soprattutto Maulvi Ahmed Jan, entrambi ritenuti figure chiave del movimento noto come Haqqani network. Gli afghani uccisi sarebbero quattro: mufti Hamidullah Haqqani, Abdul Rehman, Qari Noor Wali e Gul Marjan. Ahmed Jan è considerato un consigliere importante del network più sanguinario della composita galassia talebana afghana. Sembra che lo stesso Sirajuddin Haqqani, il capo della Rete, fosse stato visto nella madrasa due giorni prima. Forse il vero obiettivo. I droni hanno colpito tre volte in un quarto d’ora, mandando in pezzi il luogo della riunione e i convenuti. Haqqani è un obiettivo importante e viene tra l’altro ritenuta un elemento di disturbo in un possibile negoziato con mullah Omar. Ma sta di fatto che il raid è avvenuto proprio nel momento in cui l’Alto consiglio di pace afgano, voluto da Karzai per negoziare, si apprestava a una missione delicata.
Sul fronte pachistano lo smacco è doppio. Non solo gli Stati Uniti avevano promesso che non avrebbero più effettuato raid durante colloqui di pace con i talebani (promessa arrivata dopo l’uccisione dell’ex capo talebano del Tehrek-e-Taleban Pakistan Hakimullah Mehsud a inizio novembre), ma stavolta hanno addirittura colpito un’area del Pakistan al di fuori delle aree tribali, zona di scontro tradizionale e base dei talebani (pachistani e afghani). Una «doppia violazione» di sovranità che irrigidirà le autorità pachistane.
Quanto alla Loya Jirga e alla fase delicata che il dibattito attraversa, l’ennesimo raid non lo rasserena di certo. Uno dei punti in agenda, che un lungo negoziato avrebbe in parte superato, riguarda proprio le incursioni delle Forze speciali americane nelle case private degli afgani. Gli statunitensi hanno convenuto che eviteranno di compierle anche se al contempo l’accordo bilaterale prevede che le forze combat in Afghanistan (se l’agreement viene approvato dovrebbero restare tra 8 e 15mila uomini dopo il 2014) abbiano comunque un certo grado di autonomia preventiva. Infine il nodo più grosso resta intatto: l’immunità dei soldati americani rispetto alla giurisdizione afgana in caso di supposto reato.
La ciliegina sulla torta è la lettera che Obama ha spedito ieri proprio a Karzai ma indirizzata in realtà all’assemblea tribale di Kabul: nel rassicurare il presidente afghano che gli Usa rispetteranno la sovranità afgana, Obama ha aggiunto che, come Karzai voleva, gli americani si asterranno dall’entrare nelle case afgane…eccetto «straordinarie circostanze». Una postilla che contraddice il preambolo. Karzai comunque, che ha letto all’assemblea parte della lettera, è favorevole all’accordo anche se, ha detto ieri alla Jirga, a firmarlo sarà un nuovo presidente dopo le elezioni di aprile. E la patata è destinata a diventare bollente.