«Eliminati gli assassini dei tre adolescenti». Così titolava ieri il sito del quotidiano Yisrael HaYom un servizio sull’uccisione da parte di una unità speciale dell’esercito di Amer Abu Aisha e Marwan Qawasme, i palestinesi sospettati del rapimento e dell’omicidio di tre giovani ebrei, lo scorso giugno nei pressi di Hebron. Una «eliminazione» che i palestinesi non hanno tardato a definire un «omicidio mirato» che chiude per sempre la bocca ai due uomini che non potranno più raccontarci la loro versione di un caso che ha fatto esplodere la tensione in Cisgiordania e a Gerusalemme e poi è stato il motivo o il pretesto per l’attacco israeliano contro Gaza e Hamas e della confisca di altri 400 ettari di terra palestinese per espandere una colonia.

Troppi punti rimangono avvolti nel mistero. L’unica certezza al momento è che Abu Aisha e Qawasme, erano effettivamente dei militanti di Hamas. Il movimento islamico ieri li ha riconosciuti. L’«eliminazione» ha avuto una immediata ricaduta politica perché, alla notizia la delegazione palestinese, giunta lunedì al Cairo per riprendere i negoziati con Israele sul prolungamento del cessate il fuoco a Gaza, ha sospeso la sua partecipazione in segno di protesta. Le trattative, forse, partiranno dopo il Capodanno ebraico che comincia questa sera.

Abu Aisha e Qawasme sarebbero stati uccisi, secondo un comunicato israeliano, durante uno scontro a fuoco nel loro rifugio, individuato una settimana fa. Non ha risparmiato munizioni e bombe a mano l’unità speciale dell’esercito incaricata di «arrestare» i due ricercati. Una lunga colonna di fumo nero si è alzava ieri dall’edificio preso di mira, a conferma della violenza del blitz.

Gilad Shaer (16 anni), Naftali Frenkel (16) e Eyal Ifrach (19) scomparvero in Cisgiordania il 12 giugno, tra Betlemme e Hebron. Israele impegnò nelle ricerche oltre 3mila soldati, lanciando raid in campi profughi e città. Centinaia di palestinesi furono arrestati, tra i quali decine di leader, deputati e attivisti di Hamas. Un’altra dozzina furono uccisi durante i raid.

«Mi aspetto un suo aiuto per riportare a casa i giovani rapiti e per catturare i loro rapitori», intimò perentorio il primo ministro israeliano Netanyahu al presidente dell’Anp Abu Mazen. In seguito si è appreso, dalla stessa stampa israeliana, che le autorità politiche e militari in realtà sapevano sin dall’inizio che i tre giovani erano stati uccisi subito dai loro rapitori, grazie alla registrazione di una telefonata ricevuta dalla polizia. Le «ricerche» invece andarono avanti ugualmente, come se i tre fossero ancora in vita, allo scopo di infliggere un colpo ad Hamas e mettere in imbarazzo politico e diplomatico Abu Mazen. Quest’ultimo all’inizio di giugno aveva ufficializzato la nascita del primo governo palestinese di consenso nazionale dal 2007, con la partecipazione di Hamas. Governo riconosciuto dagli Usa, Onu e Unione europea per lo sgomento di Netanyahu.

La tensione si trasformò in una escalation dopo il ritrovamento dei corpi dei rapiti. Un gruppo di israeliani vendicò a fine giugno l’uccisione dei tre ragazzi assassinando a Gerusalemme un adolescente palestinese, Mohammed Abu Khdeir. Poi a inizio luglio il governo Netanyahu è andato alla resa dei conti con Hamas lanciando un attacco devastante contro Gaza, costato la vita a circa 2200 palestinesi, in gran parte civili (72 i morti israeliani, quasi tutti soldati caduti in combattimento).