«Insensato. Nel giorno in cui i 5 stelle escludono il Pd dagli organismi di garanzia, che senso ha chiedere il dialogo con i grillini?». In Transatlantico un renziano doc ammette che non si aspettava quello che descrive come un intervento «a freddo» di Dario Franceschini. È successo alla riunione del gruppo della camera, in mattinata.

ALL’ORDINE DEL GIORNO ci sono i nomi dei candidati del Pd alle cariche istituzionali: Ettore Rosato alla vicepresidenza, Alessia Morani segretaria d’aula e Rosa Maria Di Giorgi questrice (sarà eletto solo il primo). Ma subito dopo l’introduzione, il ministro della cultura uscente prende la parola e apre una crepa nel fronte del «tocca a loro», il diktat renziano dell’opposizione. «Il Pd è stato troppo a lungo silente» e i risultati si vedono, dice, «non possiamo portare l’Aventino al Quirinale, non possiamo ripetere ’siamo all’opposizione come deciso in direzione’ perché nel frattempo sono successi fatti nuovi», insiste, e chiede una nuova convocazione dei gruppi dem prima dell’invio della delegazione alle consultazioni al Colle. A lui si uniscono Piero Fassino, Barbara Pollastrini, Andrea Orlando: non è in discussione l’opposizione ma, dice il leader della minoranza, «il Pd deve discutere un’agenda sul sociale da portare al Colle». «Il Pd oggi è minoranza, non opposizione, in assenza di governo», interviene il veltroniano Walter Verini, «è giusto che chi ha preso più voti faccia una proposta di governo. È un diritto e insieme un dovere. Se faranno un governo Di Maio e Salvini, e per il paese mi auguro che non ce la facciamo, saremo all’opposizione. Ma se andranno a sbattere, si aprirà un quadro nuovo e come abbiamo approvato in direzione ‘il Pd non farà mancare il suo apporto al presidente della Repubblica, nell’interesse del paese’».

FRANCESCO BOCCIA, area Emiliano, fa un esempio di una scelta che presto il Pd dovrà fare: sul Def non può valere la linea del «tocca a loro», spiega, «Sarebbe irresponsabile. Tocca a tutti. Mai come in questo momento il compito del parlamento è di arrivare a un Def condiviso». Così la pensa anche Lorenzo Fioramonti, economista e papabile ministro a 5 stelle.

IL FRONTE DEI «COLLISTI» dunque lascia i luoghi riparati dei retroscena di stampa e esce allo scoperto, sulla scena. Ma il copione è hard. L’intenzione non è quella di offrirsi ai 5 stelle per un’ipotesi di governo, anche perché se il Pd non fosse compatto, i numeri non ci sarebbero. Ma se dovesse andare a sbattere l’ipotesi di governo fra destra e 5 stelle – è il ragionamento – se dalla cittadinanza attiva venisse indicata una personalità riconosciuta, di sinistra, stimata anche dai grillini, il Pd dovrebbe restare immobile nel suo splendido isolamento?

NELLA MENTE di alcuni è il ritorno su un luogo del delitto. Quello consumato nei giorni dell’aprile del 2013: quando il fallimento del preincarico di Pier Luigi Bersani spalancò la porta a Enrico Letta e alle larghe intese con Forza italia, con la regia e il polso fermo dell’allora presidente Napolitano, appena rieletto al Colle. Fatto, quest’ultimo, che sbarrò definitivamente la strada a un presidente del consiglio che potesse mettere insieme i voti del Pd e quelli dei 5 stelle.

L’IPOTESI È ARDITA, all’assemblea dei deputati dem ovviamente nessuno la formula. Ma è chiaro che ormai nei gruppi degli eletti Pd si stanno formando due fronti. «Collisti» (perché in molti presumono che il Colle eviterebbe volentieri non solo il ritorno al voto, ma il ritorno al voto con il Rosatellum) contro renziani.

IL REGGENTE MARTINA media, ma la risposta del fronte rimasto sulle posizioni dell’ex leader è compatta, anche se con diverse gradazioni di ostilità: «Certo, i gruppi devono discutere», dice il dialogante Lorenzo Guerini, «Dopodiché ritengo utile fare l’assemblea dei gruppi e riunire gli organismi del partito dopo le consultazioni per valutarne l’esito». Anche il capogruppo Delrio mantiene toni soft, ma alla fine di un post facebook chiarisce: «Nessuno insiste a stare in minoranza per capriccio, ma perché vogliamo rispettare il voto». Dai social persino Pier Luigi Castagnetti bacchetta la scelta del suo ex compagno di partito (enel Pd di corrente) Franceschini. Renzi, il più giovane della stessa parrocchia margheritina, non se lo fa sfuggire: «L’opposizione si può fare bene, come spiega splendidamente Castagnetti, e può farci molto bene», scrive nella enews.

MA IL PD ORMAI HA DUE LINEE, è ufficiale. E se non ora, alla vigilia delle consultazioni, dopo – sempreché non nasca un governo destra-5 stelle – non potrà fare a meno di prenderne atto.