«L’ulteriore deterioramento della situazione della sicurezza nella regione del Sahel nel suo insieme è allarmante. I gruppi terroristici stanno guadagnando terreno, mentre gli attacchi alle forze di sicurezza nazionali e internazionali continuano senza sosta», una constatazione da parte del segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, che rispecchia pienamente gli attacchi incessanti di questo 2020 nell’area del Sahel.

SECONDO L’ULTIMO REPORT Onu, presentato a inizio gennaio, le perdite di militari di tutta la regione del Sahel sono aumentate del 116% rispetto ai tre mesi precedenti, con oltre «193 militari morti e più di 4000 vittime civili in tutto il 2019».

Una situazione esplosiva che rischia di destabilizzare tutta l’area del Sahel (Niger, Ciad, Burkina Faso, Nigeria e Camerun), confermata dagli attacchi, ormai frequenti che stanno flagellando le popolazioni civili. Nessun miglioramento neanche dopo il summit di Pau, in Francia, e il coordinamento congiunto tra la missione francese anti-jihadismo Barkhane e quella dei paesi G5 Sahel.
Proprio nei confronti delle Nazioni unite e della missione Minusma, in Mali, sono state rivolte dure critiche da parte del presidente burkinabé, Roch Marc Christian Kaboré, che ha evidenziato «le difficoltà di tutta l’area nel contrastare le forze jihadiste e la mancanza di sostegno della comunità internazionale».

«Le Nazioni Unite devono intervenire e creare una forza militare, più leggera e mobile, per garantire la sicurezza delle nostre popolazioni, visto che la sua visione di mantenimento della pace non è più in linea con le sfide alla sicurezza nel Sahel» ha aggiunto Kaborè.

PAROLE PRONUNCIATE alla nazione alla chiusura, ieri, del lutto nazionale di 48 ore -l’ennesimo – dopo l’uccisione di 36 civili in un attacco ai villaggi nel nord, nella provincia di Soum, vicino al confine con Mali e Niger. Un attacco in risposta all’approvazione della legge, votata questo martedì, che mira alla creazione di milizie volontarie di difesa – fornite di armi leggere, mezzi di comunicazione e di osservazione – che avranno il compito di «difendere il territorio nel loro luogo di residenza, in caso di attacco, in attesa che le forze di sicurezza si dispieghino» secondo il ministro della Difesa, Moumina Chériff Sy.

Un quadro altrettanto difficile e problematico anche nel nord della Nigeria. Sette soldati sono stati uccisi martedì da miliziani dello Stato islamico nell’Africa occidentale (Iswap) – ramo secessionista di Boko Haram – che hanno colpito una base militare nella zona nord-orientale (regione di Borno). Un attacco che si aggiunge a quello, senza vittime, contro la residenza del coordinatore delle Nazioni unite in Nigeria, Edward Kallon, e alla brutale esecuzione del reverendo Lawan Andimi, dirigente locale dell’Associazione cristiana della Nigeria rapito il 3 gennaio, definita dal presidente nigeriano Muhammadu Buhari un gesto «crudele, inumano e deliberatamente provocatorio per dividere il nostro popolo».

UNA MOLTITUDINE DI TARGET e obiettivi tra i due gruppi alleati – Iswap e Stato islamico del Gran Sahara (Eigs) – e il gruppo nigeriano Boko Haram, che colpisce maggiormente le basi militari in tutta la regione del Lago Ciad e ha causato nel 2019 la morte di centinaia di soldati.

«La lotta al terrorismo nel Sahel è sia un dovere di solidarietà sia un imperativo di sicurezza collettiva» ha aggiunto il presidente Kaboré: «In Africa e fuori dal continente siamo tutti minacciati, perché le forze terroristiche, sconfitte in Iraq o in Siria, si stanno riorganizzando qui per colpire ovunque».