Si porta a casa il Premio Mario Serandrei – Hotel Saturnia per il Miglior Contributo Tecnico il francese Bertrand Mandico, che “fa il botto” alla trentaduesima Settimana Internazionale Della Critica, nel senso letterale dell’aver presentato un film, Les Garçons Sauvages , che deflagra, rapinosamente, in una visione sovversiva e contundente, che colpisce anche fisicamente lo spettatore, un big-bang dei sensi. L’onda d’urto spazza via muri interni e confini tra generi, che come fluidi non più contenuti, si mescolano e si ibridano dando vita a una mitologia autonoma e autarchica che coniuga Cooper e Schoedsack (e Jules Vernes) con un’immagery mutante ed iper espressionista alla Tsukamoto, la poetica subacquea vighiana di L’Atlante con la sessualità deregolata di Borowczyk.

Un manipolo di post drughi pubescenti, rei di stupro ed omicidio, viene a forza imbarcato sul natante governato da un misterioso Capitano, rieducatore salomonico e feroce, «ma giusto», che presto diverrà l’oggetto di incoffessabili brame e trame. Tra tempeste terrifiche e punizioni memorabili si fa rotta verso l’Isola Delle Gonne, isola vivente, ostrica-vagina gigante, che tramuta gli uomini in donne, abitata da una natura dotata di vita sessuale, ormonale. Il resto è visionarietà emancipata da ogni medietas.

Si presenta accompagnato dall’androgino Dott. Severine del film e sua attrice feticcio, una Elina Löwensohn magnetica e bella, che ci fa da interprete e fuma da un bocchino d’avorio con charme d’altri tempi.

«Ormai il cinema è un’anziana signora centenaria affetta da incontinenza e dagli orifizi prolassati, io lavoro con le sue deiezioni non contenibili»

L’incipit dell’intervista che mi concede è punk-rock allo stato puro.

  • In questo immaginario il corpo è centrale, ma l’obiettivo ne rimane a distanza, non ci si getta a ridosso, in una poetica visiva di esasperazionBERTRAND MANDICOe della carne…

Due sono i temi legati al corpo: quello sull’identità sessuale, che normalmente consideriamo come sua condizione immutabile, e quello sul mutamento, sulla cessazione di quella stabilità-immutabilità. Come osservatore, volevo collocarmi in posizione di frontiera, e da lì osservare il corpo mutare, muoversi in una identità basculante, cheoscilla da un polo all’altro in maniera reversibile. E’ una sessualità mutante. Le ragazze però, mutate nel corpo, restano interiormente i cattivi ragazzi di prima, la violenza, che nel film si vuole connessa all’identità maschile, semplicemente si nasconde dietro ai seni, ma non sparisce. Poi, come hai notato, questa mutazione viene osservata da una certa distanza, perché idealmente cercavo più l’accarezzamento, lo sfioramento, che non la penetrazione e l’uso della voice-over, che rimanda al cinema classico, corrisponde a un narratore principale che racconta la storia standone fuori, dunque anche l’immagine mantiene una certa distanza, mi sembrava coerente.

  • Un natura pansessuale, omnipervasiva, vaginale e fallica, che intrattiene rapporti carnali con gli umani?

La natura per me è molto sessuale di per sè, quando guardo la vegetazione trovo delle forme sessuali, un po’ come in quei lavori di Mapplethorpe dedicati ai fiori.

La natura dell’isola secerne ormoni sessuali e produce effetti ormonali sulle persone. L’isola in realtà è una ostrica gigante, una creatura viva, su cui trionfa ovunque una vegetazione per cui mi sono ispirato a un’immaginario marino, di alghe fluttuanti e anemoni su cui ho montato però rumori di natura organica, di viscere e interiora come se fosse un corpo vivo di carne, un organismo animale con le sue budella. In certe parti ho usato il canto di una balena per dare voce alla foresta, l’idea di una foresta-bestia

  • Anche l’identità del mare, come personaggio vivente, forza bruta e naturale che si manifesta nelle tempeste, è costruita tutta per via acustica…

In verità tutte quelle scene sono realizzate in studio, senza green screen, solo con fondali e proiezioni. Tutto il suono del mare è costruito in post produzione, col vantaggio di poter comporre il suono, lavorare su volumi, equalizzazioni e creare molteplici strati. Ho sovrapposto quattrocento piccoli suoni diversi. E’ il suono di tutto l’enorme potere del mare, che inghiotte le voci, minuscole, di noi, piccoli uomini.

Il mare, tutta la natura, hanno natura duale, carezzano e graffiano, nutrono e uccidono allo stesso tempo. In questo film, tutto è ambivalente, non soggetto a giudizio definitivo, non ci trovi un bene e un male, i personaggi più che cattivi o violenti, in realtà sono solo naturali, umanamente naturali, quindi puri, esenti da sovrastrutture che restringano il comportamento, e la natura non è positiva o cattiva di per sè, siamo noi umani ad attribuirle dei giudizi di valore.

  • Hai usato un montaggio a tratti estremamente ritmico, a tratti disteso, a volete molto grammaticato, a volte deregolato…

E’innanzitutto uno strumento per restituire la storia così come la ho pensata, modulandola ritmicamente, in accelerazioni e rallentamenti, accrescimenti e sottrazioni. Amo Von Trier, ma già Anderson, per me, per quanto geniale risulta un po’”psicorigido”, sempre fisso sulla stessa misura ritmica, al riparo da rischi, ma senza movimento. Paradossalmente è lo stesso effetto che producono quelli, per lo più provenienti dal video, che hanno l’abitudine di girare molto, come kechiche, per poi tagliuzare tutto in pezzi molto brevi e montare freneticamente, con un effetto tipo mitraglia. Io cerco un montaggio inaspettato, che non permetta allo spettatore di anticipare quali ne saranno gli sviluppi.

Ho disegnato uno storyboard che è risultato indispensabile fondamentale per le scene più tecniche, come le tempeste, con takes corte da sincronizzare con le retro proiezioni, i fondali e i movimenti di tanti attori in pochissimo spazio, e che richiedevano un lavoro di composizione minuzioso, musicale, invece sull’isola mi sono concesso qualche strappo, ho girato con più flessibilità, con scene di durata più lunga lasciando gli attori liberi di dare uno sviluppo più teatrale alla recitazione e rendendo i movimenti di macchina funzionali agli effetti emozionali delle loro splendide performance. Lo chiamo “montaggio organico”, una dimensione che sta a cavallo tra lo psicologico e il musicale. Realizzo una prima versione del montaggio senza suoni, ma già ritmicamente organizzata, quasi come una canzone. Già in fase di scrittura immagino una colonna sonora, poi girando le mmagini cerco effetti di tipo musicale e ritmico e quando le monto uso delle musiche di servizio, che mi diano una scansione ritmica, un’atmosfera emotiva, queste poi vengono eliminate per essere sostituite dalle musiche originali fatte dal compositore che cura la soundtrack.