Lo scorso anno ha dedicato a Giulio Regeni il Premio Giffoni 50, vinto con il pamphlet La parola contraria. Negli anni ha manifestato davanti alla sede dell’ambasciata egiziana a Roma e partecipato alle fiaccolate a Fiumicello. Ha preso parola contro quello che ha definito «servilismo e omertà» della diplomazia italiana, paragonando il governo italiano alle mafie «che antepongono i loro loschi affari a tutto il resto».

Ieri lo scrittore Erri De Luca non ha fatto mancare la sua presenza nell’aula bunker di Rebibbia, durante il dibattimento per decidere della dichiarazione di assenza dei quattro cittadini egiziani imputati per il sequestro, le torture e l’omicidio di Giulio.

Qual è l’impressione che ha ricavato dal dibattimento?

Non sono in grado di entrare nei dettagli giudiziari. Posso dire che quello che mi ha impressionato è stato il ricapitolo fatto dal pm Colaiocco di tutti i sabotaggi, gli insabbiamenti, le omertà, le minacce contro coloro che volevano arrivare a un accertamento dei fatti. La massa di abuso e tirannia verso la verità mi ha molto impressionato. Sono stati anche uccisi cinque egiziani innocenti, è agghiacciante.

Una ricostruzione capillare.

Impressionante. Un italiano che oggi vada in Egitto o semplicemente transiti per uno scalo tecnico è un temerario.

Su Il Manifesto abbiamo scritto che questo, indirettamente e dal punto di vista simbolico, è in qualche modo anche un processo al rifiuto del governo italiano a interrompere i rapporti con l’Egitto. In aula oggi (ieri per chi legge) la Presidenza del Consiglio si è costituita parte civile.

Sono parte civile, è ovvio. La notizia vera sarebbe stata se il governo non lo avesse fatto. Era un atto dovuto, non ha alcuna rilevanza.