La fortuna di un libro si misura anche con la capacità di estendere la sua bolla di influenza oltre il limite imposto dal mercato editoriale. Per Erotismo Eversione Merce, una delle motivazioni possibili della sua riedizione, avvenuta a distanza di 45 anni dalla pubblicazione originaria per Cappelli, è stata quella di recuperare un libro che non è solo la raccolta degli atti di un convegno, ma l’unica testimonianza di un evento irripetibile rimasto solo nella memoria di alcuni. Ovviamente a ciò va aggiunta anche la buona dose di coraggio della Mimesis per aver accettato di gettarsi in quest’impresa in un mercato editoriale come quello italiano che pubblica decine di titoli a settimana e che ha come prerogativa principale il continuo turn over delle novità con novità piuttosto che tendere alla valorizzazione dei libri.

La vicenda editoriale di Erotismo Eversione Merce prende l’avvio dall’organizzazione dell’omonimo convegno, curato dalla Cineteca di Bologna e da Vittorio Boarini che allora la guidava, quale terzo appuntamento di un percorso cominciato qualche anno prima. L’intendimento di Boarini e della Cineteca era quello di trovare punti di raccordo e di discussione su temi e argomenti nei primi anni 70 urgenti ed anticipatori del tempo, chiamando a raccolta e mettendo uno di fronte l’altro critici italiani ed europei. Allora, il cinema consentiva la costruzione progettuale di non poche suggestioni e forniva chiavi di lettura inedite ed ancora era anche l’unico media che travasava il pubblico nel privato e viceversa. Osservando l’attualità di oggi, questo sembra imporre la lettura del panel degli intervenuti: da Pasolini a Guattari, dalla Pivano a Lattuada e poi Zolla, Scalia, Toti e ancora critici, teologi, giuristi, ecc. Soprattutto in chiave politico-filosofica: Lacan tra Marx e Freud, Surrealismo e Commedia all’italiana, televisione e religione cattolica, arte ed economia. Di certo l’onda censoria della tv dell’epoca – e di lì a poco venne varata la riforma del 1976 e si criticava non poco l’ombelico della Carrà – aveva una sua spietatezza, anche quand’era tollerante. Sarebbe stato importante aver potuto misurare l’effetto che procuravano Tuca Tuca o Rumore di Raffaella. Ma, già all’orizzonte si prefiguravano già le tv commerciali che consumarono in pochi anni l’intero serbatoio di cinema di genere decretandone di fatto la fine con la conseguente chiusura di molte sale.

Oggi poi che la fruizione digitale ha spazzato via lo «sporco» proprio di quelle sale cinematografiche che negli anni settanta si convertivano al «porno» ci si può concedere ad altri discorsi. E non al «cinema erotico» che è altra cosa, pur essendo le due cose strettamente collegate, nelle loro derive più maniacali o nelle loro dolcezze più imprevedibili. Tuttavia quest’industria non è esente da un certo intento pedagogico, però falso e distorto. Ma alzi la mano chi non ha mai sfogliato ieri una rivista o oggi si è collegato ai vari «tube» del genere? Tuttavia il portfolio del libro raccoglie le immagini dei film che avrebbero dovuto comporre il programma della retrospettiva che per mancanza di denaro non si fece e non accompagnò il convegno. Lì, la selezione è altamente autoriale, sperimentale, internazionale e cortocircuitava il meglio del cinema di allora, classificato per i temi sollevati dai relatori dell’incontro. Tutto era studiato nei minimi particolari. Ogni singolo aspetto. Nell’aprire alla contemporaneità il libro si è tenuto conto di tutto questo. L’atto critico compiuto, infatti, è stato quello di costruire intorno alla struttura originaria una cornice totalmente nuova ed inedita e per farlo si è convocata una pattuglia di filosofi, critici, artisti di teatro, danza e cinema, che ha avuto come compito e scopo di tendere ancora più avanti quelle istanze in apparenza datate solo temporalmente.

* curatore con Vittorio Boarini del volume «Erotismo Eversione Merce» (ed. Mimesis) da cui pubblichiamo un breve estratto dall’intervento di Pasolini

PIER PAOLO PASOLINI
Una scelta estetica è sempre una scelta sociale. Essa è determinata dalla persona a cui si rivolge la rappresentazione e dal contesto in cui la rappresentazione si svolge. Ciò non significa affatto che la scelta estetica sia impura o interessata. Anche le scelte di un santo sono sociali. Prendiamo una scena erotica da laboratorio. Una camera, un uomo, una donna. Il regista è di fronte alla solita scelta: che cosa includere e che cosa escludere? Venti anni fa il regista avrebbe «incluso» una breve serie di atti appassionati e nobilmente sensuali, fino a comprendere un lungo bacio. Dieci anni fa il regista avrebbe «incluso» molto di più: dopo il primo bacio sarebbe giunto fino al momento in cui le gambe e, quasi completamente, i seni della donna, fossero scoperti, aggiungendo un secondo bacio ormai chiaramente precedente il coito. Oggi, il regista può «includere» molto di più: può includere il coito stesso (anche se finto dagli attori) e addirittura il nudo completo.

Nessuno di questi tre ipotetici registi può venire accusato di non aver fatto delle scelte estetiche e di non essere andato fino in fondo al suo assunto espressivo. Di non avere, con uno sforzo personale, allargato lo spazio che – proporzionalmente – il contesto sociale gli concedeva. Ora, pare che a questo punto, io sia chiamato in causa direttamente, e che debba testimoniare, oppure illustrare o giustificare, un’esperienza personale e pubblica nel tempo stesso. Infatti come autore di film, in questi ultimi anni, ho indubbiamente compiuto uno di quegli sforzi individuali di cui dicevo, per allargare lo spazio espressivo che la società mi concedeva a rappresentare il rapporto erotico.

Sono giunto, per esempio – cosa mai accaduta fino a quel momento a rappresentare il sesso addirittura in dettaglio. Devo dire anzitutto che io stesso, negli anni precedenti – sia con le opere che con gli interventi esplicitamente politici – e, inoltre, col mio stesso essere e comportarmi – avevo dato il mio contributo perché la società italiana mi concedesse quello spazio entro cui io potessi esercitare lo sforzo necessario per aumentare ancora di più le possibilità del rappresentabile. Sono state le lunghe lotte – ormai arcaiche se non mitiche – degli anni ’50 e quelle, ancora ribollenti, dei primi anni ’60, a preparare il terreno a questa inclinazione alle riforme e alla tolleranza da parte della società borghese italiana. La censura che un tempo censurava un seno scoperto, ora è giunta a lasciar passare, appunto, il dettaglio di un sesso in primo piano; e la magistratura, che un tempo condannava per una semplice illazione, oggi è costretta a rendere molto più elastica la nozione sacra del «comune senso del pudore». C’è, in questi mesi, è vero, la minaccia di un ritorno all’ordine (non citerò gli esempi) (…)