Sarantis Thanopulos: «Cara Annarosa, credo che una domanda sottenda la scrittura di Sovrane: cosa intendiamo per ‘naturale’? Mettendo a fuoco la questione, secondo la prospettiva che più mi sembra rivelatrice, direi che il contrasto insanabile tra chi esclude la violenza dalla natura e chi, invece, considera la sua presenza in essa un tratto costitutivo, origini dal fatto che usiamo il termine ‘naturale’ per intendere due cose diverse, perfino opposte.

Ciò che è proprio del desiderio, il nostro permanere, persistere in tensioni sensuali psicocorporee trasformative, e ciò che caratterizza il bisogno, l’esigenza di liberarsi di tensioni indesiderabili ritornando allo stato di equilibrio precedente. Nel primo campo gli esseri umani sono ‘per natura’ diversi, ma pari e la legge che regola la loro vita è quella della musica -secondo il primo significato di nomos che Monica Ferrando ha sottolineato. Nel secondo essi sono ‘per natura’ uguali, ma impari: la legge che decide il loro destini, secondo l’altro significato di nomos, è la divisione dei pascoli (delle fonti di appagamento dei bisogni) sulla base del diritto del più violento. Più ci si allontana dal primo campo più la natura umana diventa natura della materia vivente. Credo che ciò che mina profondamente la nostra civiltà e la prevaricazione della legge del desiderio, la sovranità ispirata all’eros femminile, da parte della legge del bisogno, la sovranità di un maschile dissociato dalla relazione erotica, autocratico e autoreferenziale. Tu che ne pensi?».

Annarosa Buttarelli: «Caro Sarantis, prima di tutto vorrei dirti che ho trovato da te letto profondamente il libro che ho scritto. Ti ringrazio ancora una volta per avermi fatto ritrovare la speranza, nonostante i tempi, nello scambio intenso con un uomo non animoso e non misogino. Esperienza rara, come tu stesso hai modo di sottolineare più volte a proposito della «solitudine della donna» quando si confronta con la maggioranza degli uomini di oggi.

Alla base della scrittura di Sovrane c’è una posizione non dicotomica a proposito della “natura”, poiché non la costituisco come enigma da decifrare diversamente a seconda che si voglia o non si voglia vederla violenta. Che nella natura, anche umana, ci sia violenza è fuori di dubbio. Perfino in dio (o in Dio) c’è violenza, così come c’è violenza nell’amore, soprattutto quando scioglie ciò che non può stare insieme. Alla base di Sovrane, c’è per l’appunto il tema della violenza e dell’ignoranza generale sulla sua gradazione oltre che delle trasformazioni a cui presiede. Per esempio, ancora non si sa distinguere tra violenza necessaria o perfino desiderabile (quella che agisce nell’amore filosofico), quella della sventura (malattie e disastri «naturali»), quella che sarebbe meglio chiamare crudeltà, poiché non ha altro scopo che fare male (nel suo duplice senso).

In Sovrane, sottotraccia, non c’è la “natura”, di cui peraltro noi donne siamo state e rimaniamo amiche, ma c’è l’eros che invita alla gioia della comunicazione profonda ma anche alla determinazione nella sete di giustizia che richiede una certa nostra determinazione. Chissà perché molti uomini si spaventano per questa determinazione, anche donne che non l’hanno si spaventano perché la vedono violenta. Ma in Sovrane c’è anche la determinazione a mostrare come invece sia crudele la politica di genealogia maschile».

Sarantis Thanopulos: «Sono d’accordo con la distinzione che fai tra due tipi di violenza. La violenza legata alla passione, ai sentimenti e al pensiero, la forza che crea movimento, soluzioni di continuità e trasformazioni. E la violenza dissociata dall’eros che si impone come diritto di prevaricazione. L’uomo chiuso nella crudeltà innaturale del suo privilegio è prigioniero della propria desolazione.