Eva è una roccia, una roccia fragile, argillosa, che ogni tanto si sbriciola un po’. Una giovane donna, forte e profonda. Di una sensibilità lucida e trasparente. Si muove al ritmo del Bolero di Ravel sente la musica sulla pelle, è felice, sorride, chiude gli occhi e si lascia andare. Eva è malata di Parkinson da undici anni, ne ha quarantaquattro, è sposata, ha due figli, e da gennaio frequenta il corso di danza rivolto ai malati come lei, a chi ha difficoltà cognitive, agli over sessanta, e a persone con disabilità neurologiche. Si sente leggera, sciolta dalle sue rigidità “come un cioccolatino al sole”, dice alla fine della lezione che si svolge nelle sale del Museo Civico di Bassano del Grappa. È di Vicenza e ogni lunedì e venerdì, con un accompagnatore, arriva puntuale per danzare. Suo marito le dice sempre “vai e torna felice”. Ed è così. Il tremore di Eva non sparisce, c’è, fa parte di lei, da quando tanti anni fa è iniziato da un giorno all’altro, ma “ho riscoperto una persona che non credevo ci fosse più, ho acquisito consapevolezza del mio fisico. Nella danza ho trovato un’arma vincente, ho il coraggio di affrontare le cose. Mi è stata molto utile anche nella riabilitazione dopo una mastectomia. Adoro far esprimere il mio corpo, mi sento addirittura sensuale dopo tanto tempo” racconta. Questa volta la lezione è un po’ speciale, ci sono i fondatori olandesi della compagnia Dance for Health & Parkinson di Rotterdam. Nata nel 2012 grazie all’incontro di una star internazionale della danza classica, Andrew Greenwood, un brillante passato anche nel Royal Ballet di Londra, fra gli insegnanti personali di Roberto Bolle, e Marc Vlemmix, quarantenne malato di Parkinson. Insieme hanno sviluppato un metodo di insegnamento mirato per  le persone affette dal morbo, si sono ispirati a un modello già avviato a New York. “La nostra scuola è in buona salute” spiega Greenwood, “tutto è nato perché Marc aveva una necessità e io ero pronto per un cambiamento. Il progetto, rivolto a chi soffre di disordini neurologici, è focalizzato sul morbo. L’approccio è quello di trasformare la vita delle persone attraverso la danza. Flessibilità, coordinazione, postura, forza, equilibrio, insicurezza nel movimento sono elementi critici per chi è affetto dalla malattia, gli stessi con cui si confrontano ogni giorno i danzatori”. È lento, ma incalzante, il procedere della lezione. Dapprima sono tutti seduti, si comincia con figure semplici: mani, braccia, gambe che si muovono. Poi, con la musica che riempie la sala, i corpi si sciolgono e si compongono pian piano piccole eroiche coreografie. “Muovetevi come se foste immersi in una materia densa, vischiosa, una zuppa o del miele” invita a fare Andrew e subito Eva ribatte “quasi come se aveste tutti il Parkinson”. Sì, perché la malattia dà quella stessa sensazione, la difficoltà, la lentezza e la pesantezza dei gesti. Finita la lezione Andrew suggerisce a Eva di salire nelle altre sale del museo a fare un assolo davanti alla telecamera per poi rivedersi mentre danza. A quel punto accade qualcosa di straordinario. Eva coinvolge Marc, l’ospite olandese, e Antonio, amico e compagno di corso. Sceglie di esibirsi davanti all’unico quadro che ritrae una bambina affetta da sindrome di down, di Jacopo Bassano, del 1536. “Vedi” dice, “anche qui è presente la disabilità”. Parte la musica ed Eva inizia a volteggiare, leggera e a ritmo in una coreografia istintiva, naturale, spontanea, a cui partecipa e risponde Marc, e dove a tratti s’inserisce Antonio. Sembra un saggio di fine corso, preparato a tavolino, tale è la sintonia e la disinvoltura. Corpi leggeri e a loro agio che si muovono con garbo, eleganza, sensualità. Alla fine del loro balletto le lacrime di Marc, sopraffatto da tanta bellezza e intensità. La danza non supera i limiti della malattia, né pretende di farlo, ma a Eva ha permesso di ridurre l’uso delle medicine, ad altri ha ridato la forza di uscire di casa. Antonio dopo tredici anni è tornato a usare il braccio sinistro, è accaduto all’improvviso, una sera in pizzeria. Per coinvolgere la classe Andrew ha inventato nomi buffi per alcuni passi, ad esempio cappuccino, che indica la posizione in cui si deve alzare una gamba restando in equilibrio sull’altra. Niente di più duro per un parkinsoniano, eppure con questo stratagemma che aggira la parola equilibrio, fra le più temute, la classe risponde. Incrociare piedi, fare passi indietro, sono movimenti complessi, ma nel tempo hanno dato risultati sorprendenti anche agli occhi di dottori e operatori increduli. “Spesso nelle classi gli insegnanti propongono un vocabolario che stimola un immaginario e attiva un processo neurologico che permette al danzatore con Parkinson di raggiungere prestazioni artistiche e fisiche non raggiungibili nel quotidiano”, spiega Roberto Casarotto, curatore del progetto a Bassano e responsabile della danza internazionale del Centro per la Scena Contemporanea cittadino.Qualcosa in loro si è trasformato “invece di lottare contro il problema lo abbraccio, così il problema si ridimensiona”, dice Marc, “quando conosci i tuoi limiti e ne sei consapevole sei libero. La mia debolezza e la mia fragilità sono diventate la mia forza”. È all’esempio olandese che si è ispirata l’analoga esperienza di Bassano del Grappa, partita nel 2013 con lezioni regolari il lunedì e il venerdì. “Le classi di danza sono pensate per le persone malate”, chiarisce Casarotto, “è indubbio che abbiano effetti terapeutici, ma preferiamo chiamarla danza, è una forma artistica”. Anche la scelta della sede in un museo è importante “nell’immaginario della comunità è la casa dell’arte, il luogo in cui si custodiscono le opere più preziose, vogliamo portare la danza e i danzatori in un luogo speciale che sia anche fonte d’ispirazione, capace di offrire di stimoli e opportunità creative”.Tuttoècominciatonell’ambito del progetto europeo Act Your Age dove ho conosciuto Marc e Andrew”, continua Casarotto, “sono rimasto colpito dal loro approccio e ispirato tanto da cercare la possibilità di portare qui la loro esperienza. Nel maggio 2013 abbiamo realizzato una settimana di attività per presentarlo alla città, alle persone con Parkinson seguite dall’ospedale, e per intercettare potenziali insegnanti. Ha avuto un successo straordinario. Subito dopo abbiamo avviato la formazione di insegnanti italiani e, grazie a un sostegno della Regione Veneto attraverso il Fondo Sociale Europeo e al sostegno privato della fondazione Only The Brave, siamo riusciti a realizzare un percorso intensivo di professionalizzazione per maestri di danza, in Veneto e in Olanda, e a offrire da Ottobre 2013 le regolari classi al Museo Civico”. L’attività è aperta a tutti e gratuita, ogni tre mesi alcuni coreografi e danzatori internazionali conducono laboratori e classi speciali. Da quando è attivo, il progetto ha raggiunto più di mille persone, una settantina i partecipanti assidui, di questi circa la metà ha il Parkinson, poi ci sono gli anziani del centro diurno e del coro, per un’età compresa fra i quarantaquattro e gli ottantasei anni. Il 29 novembre, giornata della malattia di Parkinson, le porte delle classi di danza al Museo Civico di Bassano del Grappa saranno aperte a tutti dalle 15.00 alle 17.00. Durante Gender Bender, festival internazionale sugli immaginari contemporanei legati alle nuove rappresentazioni del corpo, le identità di genere e l’orientamento sessuale, che in questa edizione ha dato ampio spazio al tema della terza età, l’esperienza di Bassano ha fatto incursione a Bologna, anche se con modalità diverse pensate ad hoc per gli utenti a cui si è rivolto. Tre incontri in altrettanti centri sociali, luoghi di socializzazione, in cui sono attivi i caffè Alzheimer. Occasione di aggregazione per malati, persone affette da disagi cognitivi, familiari e operatori, che lì svolgono attività. Sulle potenzialità che la danza ha per le persone con danni al sistema neurologico basterebbe pensare all’intenso spettacolo Parkin’son che Giulio D’Anna, insieme al padre malato Stefano, ha portato in scena alcune stagioni fa. Vincitore nel 2011 del Premio Equilibrio.