La tappa più lunga, da Penne a Gualdo Tanino, si annoda tra Abruzzo, Marche ed Umbria. Terra di briganti, qui imperversò Cinicchia, almeno finché, coi gendarmi pontifici alle calcagna, non prese la via di Buenos Aires. Nel 1901 risultava ancora vivo, poi non scrisse più, ma può darsi lo sia sempre.

La salita più dura i corridori la trovano all’inizio, quando scalano il Gran Sasso per un versante dal gruppo inesplorato. La fuga più lunga e più famosa, quassù in cima, fu di Mussolini. Scortato non dal gracchio e dal falco pellegrino, ma dai tedeschi a cui vendette l’Italia, a coronamento di tutti i suoi vaneggiamenti sulla patria. Una fuga attesa da vent’anni. La marcia su Roma infatti fu tragedia, ma, con due reparti di carabinieri piazzati al posto giusto, avrebbe potuto essere farsa. Chi lo sapeva bene era proprio Mussolini. Alla stazione di Milano, in quel giorno sventurato dell’ottobre 1922, su due binari non distanti, sostavano due treni, uno diretto verso l’esilio volontario di Lugano, l’altro verso Roma e la presa del potere. Si dice che il Duce li tenesse d’occhio tutti e due, con una certa inclinazione per il primo.

Il «primo sportivo d’Italia» non ebbe mai un buon rapporto col ciclismo, sport di contadini e manovali accartocciati sui pedali, che mal si conciliava con l’idea sua di un paese proiettato verso la modernità. Gli preferiva il tennis, il calcio, la ginnastica e la boxe (almeno finché giganteggiò Carnera). Una freddezza con cui fu ricambiato dagli eroi del tempo, dal cattolico Bartali al socialista Bottecchia, cui si dice sia costata cara questa ostilità.

Ci dev’essere, del resto, uno spirito nascosto che rende poco addomesticabile questo sport, uno dei pochi in cui Berlusconi non abbia buttato mai una lira. Qualcosa di buono, dice Gianni Mura, deve dunque averlo.

Nella partenza da Penne ci la scia le penne Chaves, che naufraga a più d’un quarto d’ora ed esce di classifica. Meglio per la maglia rosa, ora si trova senza un potenziale traditore in casa.

Poco lungimiranti le squadre che gli hanno tirato il collo quando si è attardato, regalando così un gregario a Simon Yates.

Il brigante in fuga nelle strade di Cinicchia oggi è Frapporti, che in fuga c’è da inizio Giro. Su di lui planano ai meno venti Mohoric e Vilella, poi Henao, De Marchi e Denz. Nell’ultima discesa le carte si rimescolano, e rimangono il primo e l’ultimo a giocarsi la volata. Mohoric non fa calcoli, incurante del surplace dell’avversario, e lo trafigge sul traguardo.