Nella sua bulimica propaganda incentrata sullo scontro, il Ministro dell’Interno, Matteo Salvini, ha più volte utilizzato l’espressione «criminale comunista» riferendosi a Cesare Battisti, ex terrorista dei Pac arrestato nei giorni scorsi in Bolivia dopo una lunga latitanza. Sulla vicenda di Battisti, nessuno può avere ambiguità, ma un conto è assicurare alla giustizia chi ha commesso dei crimini, altra cosa è abbandonarsi alla bestialità. E le parole scritte ieri da Adriano Sofri sono un monito per tutti.

Io sono stato comunista in Italia. Lo sono stato quando il capo dei comunisti era Enrico Berlinguer. Aderire al Pci mi ha spinto a coltivare passioni politiche e civili ed interessi culturali. Il marxismo italiano si nutriva di Gramsci e Labriola ed era antidogmatico. Ho avuto insegnanti marxisti e crociani al Liceo e all’Università che mi hanno aperto la mente spingendomi a coltivare mille curiosità.

Ero comunista perché in quegli anni il Pci era contro il terrorismo e non aveva ambiguità sulla lotta armata. Non so se Salvini ne ha avute in gioventù, quando faceva l’estremista di sinistra nella Lega o quando Bossi evocava i fucili.

Ho rinunciato alla identità comunista allorquando è stato necessario farlo per guardare avanti. Non per questo ho rinunciato a un approccio sistemico e strutturale nella valutazione delle cose politiche, che resta il solo modo serio per vivere la politica.

Avevo del «socialismo reale» una percezione sentimentale e non politica ma non avrei mai rinunciato alla democrazia e consideravo (non a torto alla prova dei fatti) quel mondo un «contrappeso» che apriva alle masse occidentali spazi democratici tanto quanto ne chiudeva alle masse dei paesi socialisti stessi.

Nel Pci ho imparato a esercitare la critica e a trovare i punti in comune con chi non la pensava come me, ho imparato a studiare e a non improvvisare, a misurarmi sulla teoria e sulla prassi.

Oggi parlare di Pci è fuori luogo o al meglio è nostalgia. Ma non c’è nulla di male a dire di essere stato «comunista» a meno che non si rinneghi un pezzo di democrazia italiana o non si ritenga erroneamente che il termine «comunista» equivalga al terrore e alla tirannia staliniana, una dittatura a carattere sociale non dissimile dal nazismo, alla fine dei conti.