Nasce per fare ammenda di un tradimento, Torneranno i prati di Ermanno Olmi, che esce nel centenario dello scoppio della Prima Guerra Mondiale. Un tradimento «nei confronti di quei milioni di persone morte in quella guerra senza che nessuno gli abbia mai spiegato perché», dice il regista ottantatreenne in un video-messaggio che accompagna l’anteprima del suo film; lui purtroppo non è presente perché ricoverato in ospedale con la broncopolmonite. Ma ha ben chiaro cosa ci tiene a dire del suo ultimo lavoro, in sala da domani: «con i bambini e con i morti non si può mentire. Migliaia e migliaia di uomini sono stati sacrificati all’arroganza dei potentati, è stato un tradimento nei confronti dei più deboli. L’idea di patria, nel senso di amore per la terra dei padri, si è ormai disciolta, ma quei ragazzi ci avevano creduto e hanno poi constatato amaramente come fosse una grande bugia, una truffa».

«I grandi accadimenti tragici dei conflitti hanno come premessa sempre lo stesso motivo – continua Olmi – il potere e la ricchezza per pochi. Se prima non sciogliamo questo nodo di ipocrisie, restiamo in quella fascia neutrale che è il tradimento». In trincea sull’altopiano di Asiago, nei giorni che precedono la disfatta di Caporetto, si consuma la tragedia di Torneranno i prati, che il 4 novembre – anniversario dell’Armistizio – «per iniziativa della Presidenza del Consiglio, ed in collaborazione con il Ministero degli Esteri, verrà proiettato nelle ambasciate, consolati ed istituti di cultura di oltre cento paesi praticamente in contemporanea, fuso orario permettendo», spiega Paolo Del Brocco, tra i produttori del film attraverso Rai Cinema. Un film «utile», con le parole di Alessandro Sperduti – nel film il tenente incaricato del comando durante la disfatta – «perché dopo cento anni queste cose ancora succedono». Ed utile perché «se vuoi che un pensiero cambi il mondo, prima devi cambiare te stesso», dice Olmi citando Camus.

Il film «si basa su tre capitoli fondamentali», aggiunge ancora il maestro bergamasco: «l’abdicazione alle regole» – l’imposizione di ordini insensati ed omicidi da parte degli alti gradi dell’esercito – «l’apprendimento e l’allucinazione» causata dal dolore inflitto dalla guerra e che è «lo stato permanente della memoria umana. I fatti narrati sono realmente accaduti – continua il regista – ma sono raccontati in modo non realistico», proprio per dare forma a questa allucinazione. Claudio Santamaria, che nel film veste i panni di un Maggiore dell’Esercito, spiega infatti che «le divise non hanno i gradi giusti: Ermanno ha voluto creare degli elementi antirealistici dato che si va verso la parte finale che è un’allucinazione, un sogno. Perché non è un film sulla guerra, ma sul dolore della guerra». Di fronte ad un’opera del genere è però impossibile non pensare all’esempio dato dal lavoro autobiografico di Emilio Lussu, Un anno sull’altipiano, ed alla sua versione per il grande schermo realizzata da Francesco Rosi nel 1970, Uomini contro, tra le più imponenti denunce mai realizzate sull’orrore della guerra di trincea.

E infatti, continua Santamaria, «lo diceva già Lussu ed il personaggio di Volontè in Uomini Contro: il nemico non è di fronte a noi ma dietro di noi, a dare gli ordini». Con le parole di Olmi: «i nemici non sono quelli della trincea di fronte, sono quelli che ti hanno mandato in trincea».

«Si narra infatti di piccole tregue tra eserciti opposti per festeggiare, ad esempio il capodanno, in cui si cantava insieme», racconta Andrea De Maria – nel film un soldato napoletano che canta per sollevare il morale dei commilitoni, e apprezzato anche sul versante nemico – «che è il modello ideale di pace». Ma il sollievo non dura a lungo, ed anche se la durezza dell’inverno per poco la interrompe «la guerra che sembrava seppellita sotto la neve al primo colpo di cannone torna fuori», sottolinea Olmi.

L’altro grande protagonista del film è per l’appunto il paesaggio immacolato dell’altopiano, che ancora oggi cela il ricordo di quei giorni ma in cui al contempo la vita scorre ignara dei sommovimenti e dell’orrore della guerra. «Mentre tu sei lì per uccidere quello che dovrebbe essere il tuo nemico – chiosa infatti il regista – tutto intorno la natura celebra la vita».