Nel giorno delle proteste contro le politiche di «trasferimento» dei beduini del Negev, sotto l’occhio dei riflettori sono finiti i migranti, da tempo obiettivo del governo di Tel Aviv.
All’attenzione delle cronache sono giunte notizie di violazione dei diritti umani di africani rifugiatisi in Israele. Secondo le denunce, l’esecutivo guidato da Benyamin Netanyahu avrebbe fatto rimpatriare con la forza 14 cittadini eritrei dopo averli obbligati a firmare un atto «volontario» di espulsione. Secondo le accuse, fatte anche da centri israeliani per la tutela dei diritti umani, i 14 eritrei domenica scorsa sono stati fatti salire su un aereo e rispediti al mittente. Secondo quanto pubblicato dal quotidiano Ha’aretz, i funzionari israeliani seguono una precisa procedura: riprendono con la telecamera i migranti e il loro interprete e gli fanno dire e poi scrivere di volere lasciare Israele. Tali documenti sono poi consegnati al tribunale che procede ad autorizzare l’espulsione.
Fino a ieri non era giunto nessun commento ufficiale: l’Autorità per l’Immigrazione e i Confini si è limitata a dire che molti migranti sono degli infiltrati, che avviano le procedure per il diritto di asilo non perché effettivamente ne siano titolari, ma perché vogliono restare nel Paese a tutti i costi. Eppure Israele è firmatario della Convenzione sullo Status del Rifugiato del 1951, convenzione che vieta il rimpatrio forzato di richiedenti asilo nei Paesi di origine dove rischiano la propria vita. Duro il commento di Amnesty International: «Se la scelta data ai richiedenti asilo è finire in un carcere israeliano a tempo indeterminato o essere torturati in Eritrea, beh, non si tratta di una vera scelta – ha commentato Sara Robinson, capo dell’ufficio per i rifugiati di Amnesty in Israele – Il governo deve rilasciarli dalla custodia cautelare e determinare se possiedono le caratteristiche per ottenere l’asilo politico».
Già dallo scorso anno è cominciato in Israele un processo di rimpatri forzati di migranti africani che ha provocato le proteste – minime – della comunità internazionale. Proteste a cui si aggiunsero quelle per un’altra vicenda: diverse ebree donne immigrate dall’Etiopia affermarono di essere state obbligate ad assumere l’anticoncezionale «Depo Provera», un medicinale potente quanto pericoloso. L’obiettivo è quello di mantenere un’indice di natalità nelle famiglie di origine africana, molto basso. Domenica la Commissione parlamentare per i diritti del bambino è stata informata che le accuse mosse dalle donne e dalle organizzazioni per i diritti umani saranno fatte oggetto di una speciale unità di inchiesta. Dal novanta ad oggi la natalità della comunità etiope è crollata del 50%. Per questo il procuratore di Stato, Yosef Shapira, ha deciso di avviare un’indagine per verificare la veridicità di tali dati e le loro ragioni, una decisione giunta dietro la pressione di alcune parlamentari israeliane.